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La decisione di costruire l’Albergo dei Poveri si colloca nel regno di Carlo III di Borbone, alla metà del settecento, quando si decide di accogliere i poveri della città in un’unica grande struttura immediatamente a ridosso dell’abitato. (¹) “La nobiltà di Palermo costruiva un’edificio non solo per rinchiudere, sfamare, rivangelizzare i poveri, ma per identificarsi, per esibire il potere e la carità”.

E’ un’inversione di tendenza rispetto alla scelta fino ad allora adottata di recludere i poveri in strutture riadattate, fuori dalla scena urbana. Negli anni della sua costruzione, infatti, rimarrà ancora attivo l’Albergo Generale dei Poveri denominato anche “Serraglio Vecchio”; una soluzione che mostrava sempre di più la sua inadeguatezza ad accogliere i poveri della città perché si configurava come un modesto aggregato di edifici e il recinto dell’abolito “Arbitrio delle polveri”, nel piano di S. Erasmo oltre la Porta di Termini.

La prima pietra del Reale Albergo dei Poveri è posta il 24 aprile 1746. A redigerne il progetto viene chiamato l’architetto palermitano Orazio Furetto, che prevale sul progetto del ben più famoso Giovan Battista Vaccarini nella valutazione delle idee progettuali effettuata dalla commissione nominata dal vicerè Corsini.

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I primi cinque anni della sua edificazione registrano un lento procedere dei lavori causato dall’erogazione modesta dei fondi per pagarne materiali e maestranze; lo stanziamento di 5.000 scudi annui, deciso nel 1751 da Re Carlo III e successivamente dal figlio Ferdinando III, permette il procedere più spedito delle fasi costruttive, fino all’inaugurazione del Reale Albergo, seppure incompleto, 26 anni dopo, l’8 agosto del 1772. Una inaugurazione indubbiamente scenografica, come riporta nel V Tomo del suo Diario Palermitano Francesco Maria Emanuele Gaetani Marchese di Villabianca, che descrive la processione e il solenne ingresso dei poveri per suggellare l’attesa apertura del nuovo Albergo dei Poveri fuori Porta Nuova. Lo testimonia il conio romano da parte di Pietro Balzar di una moneta che riporta su retto l’effige dei re Carlo III e del figlio Ferdinando III, promotori dell’iniziativa, e sul verso una veduta prospettica dell’edificio.

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Medaglia commemorativa del Real Albergo dei Poveri di Palermo, coniata a Roma nel 1772 da Pietro Balzar.
Per visualizzare la Medaglia conservata al Museo Nazionale del Prado di Madrid

I lavori di completamento proseguono negli anni successivi e non si interrompono nel 1785, alla morte del suo progettista e costruttore, l’architetto Orazio Furetto, mentre era impegnato nella realizzazione del secondo cortile, quello rivolto verso Palermo. Ne raccolgono l’eredità l’architetto Venanzio Marvuglia e successivamente l’allievo Nicolò Puglia. Il ripetersi di lunghe fasi di sospensione dei lavori e di una cronica carenza di fondi inducono infine all’emanazione di un decreto reale il 15 gennaio del 1819, che dispone che per i quattro anni successivi l’amministrazione generale dei dazi indiretti stanzi la somma di ventimila ducati annui fino al completamento della parte anteriore dell’edificio.

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Le Tavole sono tratte dal volume Archictecture moderne de la Sicile, J. J. Hittorf e L. Zanth 1835 Paris, Chez Paul Renouard.
La prima Tavola LXI venne incisa da Olivier, la seconda Tavola LXII incisa da Thierry. mostrano alla data del 1835 l'effettiva corrispondenza con i disegni del Progetto di Orazio Furetto del Real Albergo dei Poveri di Palermo. Per la descrizione delle Tavole

Nel 1837 si decide che gli uomini vengano trasferiti in una nuova struttura istituita dal Principe di Palagonia in contrada Malaspina: il Real Ospizio dei Poveri Principe di Palagonia o Deposito di Mendicità. Avviene allora che il complesso monumentale, destinato ad accogliere solo la componente femminile, assuma la denominazione di “Albergo delle Povere” e la decisione viene suggellata dall’iscrizione apposta sul prospetto. Una destinazione d’uso che permane inalterata per un altro secolo finché nel 1943 i gravi danni subiti in una incursione aerea decidono il suo sgombero per avviare interventi di messa in sicurezza e, successivamente, il suo restauro. Questo permette che l’edificio possa riprendere la sua originaria funzione sociale.