Bologna. Comitato per Bologna storica e artistica

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BSA - Comitato per Bologna storica e artisticaVenerdì 20 maggio 2016, alle 17.00, si è svolta presso la sede del "Comitato per Bologna storica e artistica" - su richiesta del presidente Carlo De Angelis - la presentazione del volume Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna - Antologia di antichi testi, a cura di Zita Zanardi.

Il 5 maggio 1899 si costituisce il Comitato per Bologna storica e artistica, nato dall'esigenza di tutelare l'antico impianto urbano - minacciato dall' indifferenza e dalla volontà di cambiamento espressi dal primo piano regolatore del 1889 - e di promuoverne in maniera concreta la salvaguardia. Animatore di quell'iniziativa fu il letterato bolognese Alfonso Rubbiani insieme ad altri appassionati come Francesco Cavazza, Gaetano Tacconi, Procolo Isolani, Alberto Massei e monsignor Luigi Breventani.
Tra le attività odierne il Comitato mette a disposizione di studiosi e studenti il patrimonio documentale dell’archivio storico, oggetto da alcuni anni di una catalogazione informatizzata per una conservazione attiva. Un patrimonio che viene continuamente accresciuto grazie a donazioni di documenti e testimonianze, come l’importante conferimento, da parte degli eredi, dell’archivio personale dell'ingegnere Guido Zucchini, collaboratore e poi successore di Rubbiani.
Inoltre il Comitato cura la pubblicazione della rivista a cadenza annuale «Strenna Storica Bolognese» e il quadrimestrale «La Torre della Magione», oltre a promuovere attività espositive e conferenze.

«Strenna Storica Bolognese» ha sempre accolto nelle sue pagine studi che si occupano dell'aspetto culturale della città in ogni sua forma e quindi anche di argomento agro-alimentare - nel significato più ampio - come dimostra l'elenco che segue (indicativo anche se non esaustivo):

Volume

Anno

Autore/i

Titolo

III

1930

Lino Sighinolfi

Taddeo Cavallina di Bologna inventore della prima seminatrice per cereali

VIII

1958

Giancarlo Susini

Modii, Mortaria e Mortadella

XII

1962

Agostino Bignardi

Il "Thesaurus Rusticorum" di Paganino Bonafede

XII

1962

Giancarlo Susini

Pesi e Misure dal sottosuolo di Bologna romana

XIV

1964

Agostino Bignardi

Tre agronomi bolognesi: Pedevilla, Contri, Botter

XVI

1966

Agostino Bignardi

Un agronomo viaggiatore: Athur Young a Bologna

XVIII

1968

Gaetano Dall’Olio

Toponimi di origine fondiaria romana nell'agro bolognese

XVIII

1968

Luigi Fantini

Macine romane dal greto dell'Idice

XVIII

1968

Alfonso Morselli

Il "Caffè dei Servi"; notizie vecchie e nuove

XIX

1969

Agostino Bignardi

Rinascimento agronomico bolognese: dal Crescenzi all'Aldrovandi

XIX

1969

Giancarlo Roversi

Il "Testamento del porco": note di gastronomia bolognese

XXI

1971

Agostino Bignardi

Un precursore bolognese degli studi di politica annonaria: Giambattista Segni

XXI

1971

Gian Ludovico Masetti Zannini

Osti e locandiere bolognesi nella Roma di Gregorio XIII

XXI

1971

Athos Vianelli

La "Pro Montibus" di Bologna

XXII

1972

Franco Manaresi

Giovanni Veronesi, idraulico e storico della pianura bolognese

XXII

1972

Edoardo Rosa

I consumi a Bologna sul finire del sec. XVI

XXIII

1973

Edoardo Rosa

Il "nuovo" magazzino dei sali al Porto delle navi in Bologna (1783-1785)

XXIV

1974

Silvia Neri

Marchi e botteghe di fornai bolognesi (secc. XVI - XVII)

XXVI

1976

Giancarlo Roversi

Banchetti senatorii nella Bologna del Seicento

XXVII

1978

Giovanni Chierici-Giorgio Tabarroni

Il Canale di Reno: passato e presente

XXVII

1977

Gino Evangelisti

Dall'antico al nuovo Orto Botanico

XXX

1980

Ferdinando Ragazzi

La "Padusa"

XXXII

1982

Ferdinando Ragazzi

Agricoltura e colonizzazione nel territorio bolognese nell'età di Roma

XXXIV

1984

Renato  Scarani

Pastorizia, allevamento, caccia e pesca nei comprensori bolognesi tra il IX e la metà del VI sec. a.C.

XXXVI

1987

Emilio Pasquini

Bologna nella "cronica" di Salimbene da Parma

XXXVI

1987

Alberto Passarelli

Pier de’ Crescenzi. Un giudice  agronomo fra il XIII e il XIV secolo

XLVII

1998

Franco Bergonzoni

“L’aqua la và a l’insò”. Un canale che pende a rovescio e un ponte impossibile nel sottosuolo di Bologna.

LI

2001

Carolina Crovara Pescia

Una “conserva da neve” a Bagnarola.

LII

2002

M. Luisa Boriani-Elisabetta Bufferli

L’olivo nel territorio bolognese: da presenza colturale a presenza paesaggistica.

LIII

2003

Franco Ardizzoni

Il ducato di Galliera.

LIII

2003

Piero Paci

L’agronomo Pietro Maria Bignami e la coltivazione della patata nel bolognese.

LIII

2003

Edoardo Rosa

La serrata dei macellai. Cronaca bolognese di fine ‘700.

LIV

2004

Severino Maccaferri

La via della canapa. Dal Navile a Venezia.La Tanae il Don

LVII

2007

Fulvio Zaffagnini

Due secoli di vita dell’Orto Botanico di via Irnerio.

LX

2010

Lorena Bianconi-M. Cristina Citroni

"Alla bona porcellina". Giulio Cesare Croce e la festa bolognese della porchetta

LXV

2015

Bruno Breveglieri

I pozzi di Bologna nel Medio Evo


E si parla anche di ...

Una monaca erborista

Su un numero di «Strenna storica bolognese» (anno XLV - 1995, p. 393-401) si trova l'esito di uno studio di Gian Ludovico Masetti Zannini riguardante Una canonichessa erborista: Semidea Poggi (sec. XVI-XVII). Di lei si avevano soltanto le poche notizie annotate da Giovanni Fantuzzi e cioè che era «Canonichessa Regolare Lateranense, al secolo chiamossi Ginevra e vestì l'abito religioso in questo Monastero di San Lorenzo nel 1579, insieme con una sua sorella, la qual monacandosi prese il nome di Cleria. Esse erano figliole di Cristoforo Poggi e della contessa Lodovica Pepoli; e queste sono le scarse, ma pur sicure notizie, che della nostra Semidea ci ha somministrato l'archivio del Monastero sunnominato». Prosegue sempre Fantuzzi che «delle cariche da Semidea sostenute nel suo Monastero, e dell'anno della sua morte, non sappiamo nulla; e potrà soltanto conghietturarsi che vivesse ella tuttora nel 1623, come sembrano dimostrare le sue opere stampate». In quel tempo era arcivescovo di Bologna il cardinale Alessandro Ludovisi (dal 1612 al 1625) che abbandonò la cattedra di S. Petronio solo quando fu chiamato a succedere al pontefice Paolo V assumendo il nome di Gregorio XV. Prima di lui aveva ricoperto lo stesso incarico, solo per un biennio, il cardinale Scipione Borghese Caffarelli al quale la monaca poetessa (scrisse esclusivamente in rima) non esitò a inviare una lettera, datata 18 settembre 1621 nella quale offriva al porporato un rimedio per il male (calcoli alla vescica) da cui lo sapeva afflitto:

Il rimedio è sicuro ed è questo: faccia lei raccogliere il mese di ottobre la semenza di viole zoppe, quelle che spontano fuora la primavera, le semenze sono in certe vesighete verde, le quali vesiche ànno drento le dette semenze sono simile a queste che li mando per mostra le quali senne furno racolte, avertisca farne raccogliere in grandissima quantità e la sera le faccia porre in infusione in vino o in brodo un cucchiaio colmo, la mattina poi se le magna e non dubita nulla che con l'aiuto del Signore Iddio se spezzaranno le pietre e le orinarà senza dolore di sorte alcuna e restarà libero risanato affatto: non creda a medici che le faranno danno in contro di aiuto.

Hildegard von Bingen con lo scrivano Volmar e l'allieva Richardis, miniatura dal Liber Divinorum Operum –  Biblioteca Statale di Lucca, Ms. 1942 Si chiede Masetti Zannini se avesse «ragione Semidea di diffidare dai medici ... Non siamo naturalmente in grado di rispondere, ma certo è che, almeno a giudicare dalle spese fatte dal cardinale in spezieria, i rimedi prescritti dai suoi medici dovevano essere particolarmente costosi e tutt'altro che semplici, mentre la monaca bolognese proponeva una medicina che non costava nulla ed era di facile reperimento, poiché, come suona un canto popolare toscano "delle viole a ciocche / ogni stagion ce n'è". Inviando poi al Borghese un campione di quella semenza, donna Semidea gli avrebbe risparmiato la briga di mandarla a cercare dai suoi servitori. Va però notato che quell'infuso di viole era ignoto ad un testo classico della farmacopea monastica, quale è l'opera di Santa Ildegarda abbadessa di Bingen, la quale invece, per le cure dei calcoli alla vescica proponeva altri rimedi». Secondo la santa tedesca l'elisir di viola è indicato per la cura della depressione cronica, disturbi ai polmoni o al fegato, l'olio - com il succo - per le infermità oftalmiche, mentre l'unguento è adatto per ulcere alla pelle, sinusite e altri mali. Per i calcoli alla vescica il rimedio ildegardiano è il seguente: «una polvere con il dittamo e la mangi spesso con del pane di frumento e i calcoli non si ingrosseranno. Quelle persone i cui calcoli sono già molto grossi, mescolino la polvere di dittamo con il miele e l'aceto e la bevano spesso prima dei pasti e i loro calcoli si scioglieranno». Si raccomanda anche, in alternativa, il Vinum Tanaceti (succo di tanaceto mescolato nel vino).

Come si deduce da una successiva lettera di Semidea, il rimedio era sconosciuto anche al cardinale Borghese, che comunque lo sperimentò, a quanto pare con esito positivo.

Il monastero di S. Lorenzo era famoso anche per la produzione delMonache di Bologna. Opere manuali che si eseguono nei monasteri, disegno - Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Bologna "gelo", una confettura di cotogne che aveva reso Bologna molto celebre, se il contemporaneo giureconsulto belga Franz Schott, nel suo Itinerario overo nova descrittione de viaggi principali d'Italia  dichiara che vi “Fanno una conserva di cotogne e di zucchero chiamata gelo, degna d’esser posta alle tavole di re”. E quasi un secolo dopo il missionario domenicano Jean Baptiste Labat, nel resoconto dei suoi viaggi (Voyages en Espagne et en Italie, Amsterdam, aux dépens de la Compagnie, 1731) scrisse a proposito della sua visita a Bologna compiuta nel 1706: «La città di Bologna fa ancora un notevole commercio di mele cotogne, o gelatina di mele cotogne. Questi frutti vengono meravigliosamente in questo territorio, e in questo caso, come in qualsiasi altro paese, sono infinitamente migliori cotti che crudi; si è constatato che il modo migliore per trattarli è quello di ridurli in gelatina. Le monache si piccano di superarsi a vicenda in questo dolce manufatto, e nella composizione di pasta di frutta, non risparmiano muschio e ambra».