7 - Storia dello stato ottomano

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Marca.tipografica.39.a.36 Paul Rycaut, diplomatico inglese, visse per diciassette anni in Turchia e fu console a Smirne dal 1667 al 1678. L’Istoria dello stato presente è il suo primo libro riguardante l’Impero ottomano. Nelle tre sezioni che lo compongono, l’autore analizza la struttura del governo e della società turca: nella prima parte tratta della costituzione, dell’educazione della classe dirigente, delle maggiori cariche dello stato e del rapporto tra il governo centrale, le province e gli stati esteri. Nella seconda quanto concerne la religione e la moralità; nella terza delle forze armate.

Nell’aprile del 1666 Rycaut fece ritorno a Londra e consegnò il manoscritto agli stampatori John Starkey e Henry Brome. Purtroppo, la prima edizione fu distrutta nel terribile incendio di quello stesso anno: ne venne quindi pubblicata una seconda nel 1668, una terza nel 1670 e una quarta nel 1675. Il trattato venne tradotto in italiano nel 1672 da Costantino Belli ed edito dalla ditta Combi-La Noù. Sebastiano Combi apparteneva a una famiglia di stampatori attiva sin dalla fine del Cinquecento, nel 1650 entrò in società con il giovane olandese Giovanni La Noù, che con molta probabilità era giunto a Venezia come agente degli Elzevier di Leida. Il volume è dedicato a Giovan Battista Nani, ambasciatore anche in Germania e nel 1652 nominato Procuratore di San Marco. Attento collezionista, archivista e storico, fu anche autore dell’Historia della Republica veneta per il periodo dal 1613 al 1671.

Suor Isabella Piccini incise a bulino l’antiporta, firmata S. Isabella P.F., e le venti vignette incluse nel testo, molto simili a quelle eseguite da Sebastiano Le Clerc per l’edizione francese del 1670. Interprete attenta delle forme illustrative proprie dei suoi tempi, fu molto prolifica e, impiegando sia il bulino che l’acquaforte, illustrò numerosi frontespizi, antiporte, ritratti e vignette per opere sacre e profane, scolastiche e scientifiche. I suo primi lavori riguardarono le antiporte dei libretti d’opera e furono firmati in copia con il fratello Pietro. Le sue opere furono molto ricercate dagli editori dell’epoca, sia per gli esigui compensi richiesti, che per l’energia con cui esse erano eseguite. Battezzata “splendor de’ giorni nostri” da Giovan Battista Fabri nella sua Conchiglia Celeste (1690), fu praticamente ignorata dalla critica moderna.

L'immagine della Minerva, in riposo con lo scudo al fianco e l'inseparabile civetta sul frontespizio è la marca tipografica degli editori.

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