Sicilia

La parola “merletti”, come è noto, deriva concettualmente dal termine “merli”, cioè gli elementi architettonici sagomati che completavano nella parte alta palazzi medievali e torri. La Sicilia, terra dalle mille espressioni di architettura barocca, presenta una tradizione del merletto molto antica, attestata già nel 1403 in un inventario della famiglia La Grua in cui si trova menzione di “reticelli” o “radizelli” trecenteschi, talvolta eseguiti con filati d’oro e d’argento, che ornavano i tessuti.
La tradizione siciliana del merletto si caratterizza per la frequente esecuzione senza disegno preparatorio, intrecciando liberamente la rete in  un’armoniosa alternanza di pieni e vuoti che rispondono esclusivamente alla personale fantasia di chi esegue il lavoro.
Fra i centri nei quali la vocazione del merletto ebbe grandissimo sviluppo e rimane ancora oggi una delle migliori espressioni di tipo artigianale si deve annoverare Mirabella Imbaccari in provincia di Catania. Qui, nel primo decennio del secolo scorso, una ricca e pia donna, Angelina Auteri, investì parte del suo ingente patrimonio familiare per la creazione di uno speciale laboratorio ricavato nel principesco palazzo Biscari, di proprietà del marito, in cui le donne del luogo potevano imparare l’arte del tombolo sotto la guida di monache dell’ordine di Santa Dorotea, fatte giungere appositamente da Roma.
A Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, è radicata l’antica lavorazione delle fasce eseguite al tombolo, un tempo con filo d’oro, chiamate “kurore” e utilizzate per decorare la gonna dell’abito di tradizione locale.
Famose anche le merlettaie e le ricamatrici di Santa Ninfa, in provincia di Trapani, che, spinte dall’esigenza di confezionare la dote nuziale per se stesse, per le figlie o per soddisfare le commissioni da parte delle famiglie benestanti, impararono presto l’arte del merletto con cui ornavano ogni genere di biancheria personale e per la casa.