“Apertura del novello Albergo generale de’ poveri nel superbo reale edificio di porta Nuova, col trasporto de’ poveri fatto in esso passativi dal vecchio a 8 agosto 1772, sabato.

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Essendo stati mantenuti i poveri di questa capitale, non dico tutti, ma una gran parte, nelle case terrane e magazzini dell’abolito arbitrio ella polvere, esistenti lungo il piano di S. Erasmo e nella strada suburbana di porta di Termini, colle limosine di questi cittadini palermitani, comunicate a una regia deputazione di nobili, che ne ha tenuto fin ora il governo sin dall’anno 1733, anno appunto della fondazione di esso, giunse loro finalmente, cioè ai detti poveri, quel lieto sospirato giorno di poter passare eglino a collocarsi stabilmente nel superbo regio palazzo, che a spese tutte del re nostro signore è stato eretto a’ tempi nostri nel corso della strada di Mezzomonreale, fuori porta Nuova, vicino e può dirsi in fronte del monastero di S. Francesco di Sales.

Sabato dunque, 8 agosto di quest’anno 1772, fu il riferito fortunato giorno, in cui potè eseguirsi l’indicato passaggio, che fu festeggiato con una solenne e  pia funzione fatta nel modo come da me fu veduta e anche eseguita, trovandomi per mia sorte e pel bene dell’anima mia uno dei più antichi deputati di detto albergo, ed anche di quegli exgovernatori. Imperocchè io marchese di Villabianca Francesco Maria Emanuele e Gaetani, quell’io, che appunto scrivo e sono autore delle presenti memorie di Diarii, n’ebbi la prima volta il primo biglietto di deputato dall’ecc.ᵐᵒ sig. principe Corsini, vicerè di Sicilia, il di primo febraio del 1746; e n’ebbi poscia l’altro biglietto di deputato governatore dall’altro vicerè principe marchese Fogliani sotto li 10 gennaio 1761, dopo cui me ne fu fatto conferma nell’anno seguente 1762.

Prima però di descriversi la processione, conviene sapersi che alle ore 19 del mentovato giorno degli 8 d agosto si portò all’albergo vecchio Luigi Naselli, marchese di Flores, deputato di detto albergo e cavaliere dotato di una grande esperimentata abilità per eseguir commissioni di opere pubbliche; e vi si unì pur anche il piissimo Luigi Gravina, che coi ministri dell’opera indirizzarono i poveri a sgombrarne.

All’arrivo quindi di questi signori tutti i poveri dell’uno e dell’altro sesso si feron trovare all’ordine, rivestiti di abiti uniformi, sebbene di miserabili panni; gli uomini coi bastoni in mano e colla lor sacchina sulle spalle, e le donne coperte di neri e bianchi manti, coi fagotti alle mani de’ loro cenci; gli storpi, zoppi, ciechi e paralitici posti a sedere in sediole di corda colle loro aste ai lati, per esser portatili; e così tutti insieme si portarono in folla, scortati dalli mentovati signori deputati e dalli officiali dell’opera, dal loro vecchio albergo al convento de’ padri Riformati di S. Antonino, essendovi li poveri storpii portati da’ facchini, che fanno il mestiere di seggettieri. Così tutti raccolti nel chiostro di S. Antonino, fu dato loro ordine di ripartirsi in molte numerose coppie o camerate, di ognuna delle quali fu data la custodia ad otto sacerdoti, che le consegnarsi da essi e situarsi nelle cameroni del nuovo albergo.

La possessione intanto delle case dell’albergo vecchio venne riconsegnata agli antichi padroni delle medesime, che vi si trovaron presenti, e che sono gli eredi delli Verdi; che tale è il loro cognome. A questi galantuomini pagò la deputazione oncie 97 in denaro contante in pretium dell’obbligazione, che teneva essa deputazione di farvi trovare ogni cosa ridotta al suo pristino stato nel caso di abbandono di detto albergo. Anzi tutte le altre fabbriche ed altri benfatti di qualsivoglia sorte, che vi si trovarono eseguiti, anche lor furono rilasciati gratis, a tenore dello spirito del primo contratto fatto dalli detti Verdi coi primi deputati del tempo della fondazione dell’albergo. E l’esecuzione di questo contratto ed il pagamento furono fatti dal deputato governatore Pietro Ugo, marchese delli Favari, che n’ebbe l’incarico dalla generale deputazione. Con questa dimissione, già eseguita del modo di sopra, venne a disgravarsi l’opera del peso di loeri (¹) di cento ed onze, che si pagava alli cennati Verdi. E notisi finalmente, che le indicate case dell’albergo vecchio erano anticamente (cioè prima del tempo, in cui furono pigionate al refugio dei poveri) due o tre fondachi pubblici, stalle ed una polveriera, ossia arbitrio di polvere da fucile.

Di tutta intanto la storia, si del trasporto, che della processione, che si descrive qui appresso, corse pubblicata in istampa la Relazione, composta dal valente principe di Torremuzza Castello, da cui mi è stata donata (²). E qui narriamo, che dopo tutte quante le suddette disposizioni si diede principio alle ore 21 e un quarto alla pia processione, che ebbe capo dalla cennata chiesa de’ padri di S. Antonino. Quattro soldati di cavalleria con sciable nude alle mani ne batteron la strada, e furono i primi a segnarla colle loro divise i fanciulli Dispersi torchini, e i bianchi chiamati Rocchettini. Dopo costoro vennero i Cappuccini, i padri di S. Anna la Misericordia , Francescani del Terz?ordine, e poscia i padri Minori Osservanti di S. Francesco del convento della Gancia; e immediatamente dietro a queste comunità di religiosi sventolar videsi lo stendardo di Gesù Cristo, cioè la Croce dell’albergo,portatavi dal canonico della cattedrale D. Giuseppe Coppola, assistito da’ nobili e pii sacerdoti Giuseppe Rivarola ed Orazio La Torre con torcie accese alle mani. I primi poi de’ poveri, che vennero avanti a seguitar la loro croce, furono gli uomini, che vi si avviarono a coppie co’ lor bastoni alle mani e sarchine dietro le spalle, come notai di sopra, guidativi dal padre rettore e vicerettore dell’opera. Indi seguivan gl’invalididi ambedue i sessi in sedie di corde portatili, e in ultimo luogo le numerose classi delle povere donne coi loro cenci raccolti e serbati sotto li loro panni. E furono tutti al numero di 284. Venne a chiudere finalmente la processione di questo trasporto la piccola bara con la statua di Nostra Signora dell’Ajuto (³); quella stessa, che si venera in una delle cappelle della chiesa più volte mentovata di S. Antonino.

E dietro di essa vedevansi procedere li deputati governatori dell’opera, secondo il loro ordine, assistiti da’ loro uffiziali e da’ loro servi, condecorati in fine veggendosi dalla regia guardi di due compagnie di truppa regolare italiana e svizzera, che col fasto de’ loro uffiziali e col suono festivo della loro banda di strumentisti più brillante resero la funzione.

Incominciatasi dunque una tale processione, come già ho scritto, dalla chiesa e convento di S. Antonino, entrò per porta di Vicari, percorse la strada Maqueda ossia Strada Nuova, ed arrivava al piano della Corte, passo sotto il palazzo senatorio, e scendendo quindi per la calata de’ Musici, prese la strada del Cassaro, d’onde per dritto si arrivò a porta Nuova, e da questa alla novella sacra magione del regio palazzo del novello albergo. Solo però, arrivando alla madre chiesa, si vide essa rompere a girare di dietro il duomo, per far vedere la funzione alli due mosteri delli Pignatelli e della Badia Nuova, ed anche per passar di sotto al palazzo dell’arcivescovo, ch’è il protettore nato della povertà.

Andiamo ora agli adorni ed a descrivere le particolarità, che maggiormente illustrarono questo compassionevole accompagnamento, rendendo sacra per tutti i versi la funzione di colui, ch’è cosa sacra, qual è il povero; poiché res est sacra miser, secondo anche il sentimento di un gentile, qual fu Giovanale poeta. Ne festeggiarono primieramente i Dispersi turchini quella introduzione con varie sinfonie e concerti musicali, prestando lode al Dio delle misericordie e movendo gli animi de’ fedeli ad aiutar con limosine que’ bisognosi. Numerosi poi furono i nobili invitativi dalla deputazione, e la maggior parte dell’ordine de’ deputati passati, che servirono per far questua per via co’ piatti ognuno alle mani. Promiscuamente con essi nobili e a’ lati delle coppie de’ poveri vi andarono anco numerosissimi preti, di quei che si trovavano acritti alle congregazioni de’ sacerdoti, e questi uniti ai padri dell’Oratorio dell’Olivella e ai padri Teatini e Crociferi, che tutti vi feron la carità di dar mano a quei miserabili, di consolarli con sante parole ed aiutarli nel lor cammino. Ma sopra tutto vi si segnalarono nella pietà cristiana i fratelli secolari della congregazione de’ padri Filippini dell’Olivella, e fra essi ancor qualcheduno de’ padri Filippini, come fu il padre Scamacca e il prete Ignazio Capizzi, perché questi soli devoti, cioè li detti congregati unicamente, e non altri, portarono in sedia li poveri storpi e paralitici, che furono al numero di 36 fra uomini e donne, servita essendo ogni sedia da due coppie di quattro e quattro uomini; sicchè si fè conto che vi fu di bisogno dell’opera di presso 300 divoti. Edificarono inoltre la città li congregati di Nostra Signora dell’Aiuto, la cui immagine si venera con particolar divozione nella sopradetta chiesa di S. Antonino, portando essi a piedi nudi ed insigniti de’ loro abitini la bara col quadro di detta Signora, ch’è la vera madre de’ poveri, e per cui ci farem ricchi tutti nel cielo. Laonde questi operai di miserdia comparar possonsi alli padri de’ poveri, che ci commendano le sacre carte del libro di Giobbe (cap.XXIX, v. 15 e 16): Oculus cœco, pes claudio, pater pauperum eram.

E’ da sapersi poi, che tutta questa processione, oltremodo ingrossata dal numero concorsovi de’ divoti, venne tutta fiancheggiata da coppie allo spesso di soldati di truppa svizzera ed italiana, che coi loro fucili colle baionette in canna faceano far piazza e al tempo stesso usare rispetto dagli spettatori. Ed è da sapersi finalmente, che, giunta che fu la processione al palazzo senatorio, si unirono il pretore e il senato e i loro nobili uffiziali col corpo della deputazione dei nobili governatori, che seguivan la bara, innanti la quale tutto in un tempo non lasciava di far suoni festivi la banda degli strumentisti della livrea senatoria pel maggior culto di Maria Santissima e pel maggior giubilo de’ cittadini. Monsignor Alagona, inquisitor fiscale, prese la spalla del signor pretore, come deputato priore della deputazione, essendogli stato però ceduto il luogo dal principe di Resuttano in riguardo di esser egli ecclesiastico e costituito in dignità d’inquisitore. Quattro paggi poi della deputazione, all’imbrunir del giorno,presso la salutazione angelica, di livrea di casa di federico Napoli, principe di Resuttano, uno de’ primi titoli di quella, accesero le torcie, giusto sotto porta Nuova; per far lume e scorta al senato ed alla Deputazione nel restante cammino sino al novello edificio.

 E questo onore in verità fu un nulla in comparazione del sommo, che conseguì il senato in questa occasione, di venir salutato all’uscir di città con lo sparo di quattro colpi di artiglieria, tirati dal baloardo prossimo di porta Nuova, il primo che fu a vista, come una delle fortezze di sua pertinenza.  Grandissimo intanto fu il concorso del popolo: anzi può dirsi francamente la cittadinanza tutta essere stata spettatrice nelle due strade Nuova e del Cassaro di questo spettacolo di misericordiosa pietà. Tuttavia la limosina, che vi fu raccolta da’ cavalieri deputati, non rispose in quel largo segno, che si sperava, ma in piccola somma; e questa sol per mani piuttosto della povera gente. A buon conto però si raccolsero sopra onze cento; avvegnachè vi contribuì l’arcivescovo onze 30, il senato onze 20, la casa dell’Olivella onze 20, e un nobile particolare onze 10; e finalmente limosine minute si ebbero di poche onze dalle mani delli stessi signori deputati, che questuavano. Ed a proposito di questo articolo di limosine convien sapersi, e ciò sia a lode de’ padri Filippini, che non solo la loro casa vi diè il soccorso delle onze 20 sopra indicate, ma vi s’interessò di tutta la spesa, che vi fu di bisogno per le sedie portatili e per le cignie de’ fratelli, che fecero li portantini, essendo rimmaste le dette sedie colle loro aste a beneficio dell’albergo; e il tutto gratis.

Il senato intanto vi fece la funzione di dar la sua limosina e di riposarsi sopra per un pezzetto nel quarto proprio del novello rettore, che deve presiedere al governo di casa; ed ivi propriamente venne trattato di rinfreschi di ghiacci di limonee dalli signori governatori, che rappresentavano il corpo tutto della pia opera e davan grazie a tutti quanti vi erano intervenuti. Li quattro paggi di Resuttano, con ricche livree di scarlato, trinate per tutto di oro, servivano per detto uso in questa occasione.

Il novello rettore poi, ossia colui, che con tal titolo è il primo, che sia stato prescelto, è il sacerdote D. Vincenzo Pulcrinotto, sacerdote degnissimo ed operaio nella vigna di Gesù Cristo; e gli fu costituito un salario di onze 80 annuali da servirsene per la carrozza. Egli è un sacerdote commodo, arrendato; e si spera che farà a questo luogo delle buone limosine.

In licensiarsi intanto il senato venne accompagnato fino alla carrozza da tutti i nove deputati di reggimento. E questi signori attesero poscia a situate li poveri nelli loro rispettivi cameroni e darvi il primo sistema. Ivi intanto passarono i poveri; e, passando eglino nel nuovo albergo, rifletterà il buon cristiano poter compararsi il passaggio loro a quello degli antichi Ebrei dal paese di Egitto alla terra di Canaan, o all’altro delle anime de’ santi padri, dal limbo traslati al cielo; avvegnachè hanno lasciato eglino i loro tugurii dell’albergo vecchio, pauperum tabernas, e salite le scale di regie torri, come son quelle dell’albergo nuovo, regum turres, giusta il detto di Orazio poeta nella sua ode IV del libro primo. Or ivi appena introdotti, parve ad ognuno di noi essersi scordati affatto quei miserabili del loro lacrimevole stato, non facendo essi altro che compiacersi della maestà del superbo nuovo lor tetto, che venivano già a possedere; ed esultanti perciò d’ineffabile gioia, vagar vedevansi da per tutto per quelle ampie reali stanze, siccome scevri quasi di raziocinio e menati qua e là dal caso. E tuttavia i poveri di questo maestoso decantato edificio non altro rinvenner compita che la metà scarsmente, senza pur fatta la chiesa, e senza fattevi le minor fabbriche, che vi si devono continuare a tenore del suo modello e disegno, di cui, oltre il prospetto, che che si vede impresso a pag. 370 del volume II dell’opera Lo stato presente della Sicilia del Leanti, ne corrono le carte di prospettiva incise di bulino in fogli reali dal sacerdote Antonino Bova, e formatevi dall’abbate D. Orazio Furetto, palermitano, che ne fu e segue ad esserne l’ingegnere commendatissimo.

Sappiasi quindi a proposito di questo paragrafo, che prima di entrare in questo palazzo i poveri, vi concorsero a vederlo tutti li cittadini di ogni ceto di persone, e in folla tale, che vi fu d’uopo moderarsene l’immissione con la custodia di soldati alla porta.

Or di cotanto bene in conclusione è naturale che deesene il merito alla somma pietà del re nostro signore, prima Carlo Borbone, oggi re cattolico, ed ora Ferdinando III di Sicilia, che ne sono stati insieme li fondatori, coll’assegnazione fattagli dal primo nel 1751, e continuatagli costantemente sino a quest’ora dal secondo, ch’è il regnante sovrano, di scudi cinquemila annuali di moneta di questo regno, siccome meglio lo dicono le medaglie e le imprese, che ha pensato pubblicare e disporre la presente deputazione, perpetuando ne’ bronzi e  in oro ed argento la memoria ed il nome degli augusti fondatori (⁴). Intanto però ragion vuole dover darsene anche la seconda parte di merito alla fedele diligentissima opera delli deputati particolari, che hanno portato l’incombenza dell’intera fabbrica dal suo principio fino a questo stato, vale a dire il marchese Luca de Laredo, conservatore del tribunale del real Patrimonio, l’abbate Luigi Gravina e l’abbate Ignazio Papè, e per la renunzia di quest’ultimo, fatta a causa della sua cadente età, Vincenzo Raffaele Bonanni, principe di Linguagrossa. Il più però, che vi ha faticato è stato l’abbate Gravina, più volte da me commendato. Un laico cappuccino, appellato fra Giuseppe di termini, n’è stato il sopraintendente locale, commissionatovi dalli detti signori; e questo buon religioso in verità ha fatto eseguir l’opera con si buona riuscita, perché, oltre la sua indefessa assistenza, che vi ha recato, ed oltre la sua perizia in mestieri di fabbriche, vi ha pure esposta più d’una volta la vita alle pretensioni e agl’insulti de fabbricieri, contro de’ quali è stato implacabilmente accanito e lo segue ad essere sino a quest’ora con ammirabile costanza e con pari ammirabile religiosità.

E qui non ho più che scrivere: ma sì tengo l’obbligo di gridare ad alte voci le lodi del misericordissimo Dio, che fu quello onde fu data la mossa all’animo del sovrano a far l’anzidetta assegnazione, impetrata la prima volta dal fu Gaetano Bonanno, de’ principi della Cattolica nel 1751, confermandocelo il Leanti nella citata sua opera (tom. II, pag.370). Che sia lodato anche Dio, torno a dire, che ce ne ha felicitato a’ nostri tempi l’effetto sulle fatiche delli deputati di fabbrica, come sopra lodati; e che siane finalmente lodato Dio fino all’ultimo secolo, perché vi ha dato egli i mezzi di sostenere i suoi poveri, che sono i diletti suoi figli, colle limosinefattevi piovere largamente, e che mai fin ora non hanno cessato un sol giorno dalle mani de’ suoi ministri e de’ fedeli. Lodiamolo dunque infinitamente, ripetendo gli stessi affetti testè proclamati e dicendo con santa Chiesa: Laudemus Dominum, quaia visitavit animum, excitavit affectum, subrogavit substantiam”.


tratta da: LA DUCA, R. Iconografia dell'Albergo generale dei poveri di Palermo: il progetto di Orazio Furetto / a cura di Rosario La Duca, Caltanissetta, Lussografica, 1991.