La sepoltura di Cristo

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TECNICA: Olio su tela

DIMENSIONI: cm 295x187

DATA: 1579-1582

Firmato in basso a destra: Federicus Baroccius Urbinas F. MDLXXXII

RESTAURO:

  • 1608 ad opera dello stesso Barocci
  • 1973 ad opera del restauratore Ottorino Nonfarmale con la collaborazione chimico-fisica di Lorenzo Lazzarini.

 

È un’opera della fase matura di Barocci, che lavorò a questa tela subito dopo aver realizzato la “Madonna del Popolo” per la chiesa di Santa Maria della Pieve di Arezzo. Le ricerche documentarie dello storico Pio Vecchioni hanno permesso di stabilire che la “Sepoltura di Cristo” fu iniziata nel 1579 (il contratto è datato 21 luglio) e collocata nell’altare della chiesa della Croce il 20 maggio 1582. Il Barocci stesso si occupò della sistemazione. L’artista fornì, inoltre, indicazioni sulla carpenteria, optando per la doratura. La genesi dell’opera è ben documentata dai “Libri” della Confraternita della Croce e Sacramento di Senigallia, a cui l’artista chiese inizialmente 600 scudi, cifra successivamente dimezzata e suddivisa in tre rate. L’elaborazione del quadro è inoltre documentata da tanti studi preparatori: sono giunti fino a noi oltre trenta disegni, un cartone esecutivo e uno straordinario “abbozzo per i colori”, quest’ultimo conservato nella Galleria Nazionale delle Marche. La tela riscosse subito la soddisfazione dei confratelli committenti e un’immediata fortuna, che determinò l’esecuzione di numerose copie ed incisioni. Per l’elaborazione dell’opera l’artista si ispirò sicuramente alla celebre “Deposizione” che Raffaello aveva realizzato nel 1507 per Atalanta Baglioni nella chiesa di San Francesco al Prato di Perugia. Il modello raffaellesco viene rielaborato e risolto in una composizione con sviluppo verticale, come l’altare di Senigallia imponeva, e con un’impostazione fortemente diagonale del corpo del Cristo morto, che è al centro del quadro abbandonato tra le braccia dei barellieri e che rappresenta il messaggio devozionale dell’opera. Sullo sfondo si notano, a sinistra, il Golgota con la Deposizione e, a destra, i torricini del Palazzo Ducale di Urbino, illuminati dalla luce di un crepuscolo nebbioso.

Il dipinto si caratterizza per la straordinaria qualità esecutiva e l’attento studio della luce e del colore, aspetti che determinarono notevole suggestione in tanti artisti nordici, tra cui Rubens. Come ricorda Giovan Pietro Bellori, la tela purtroppo fu danneggiata dal maldestro intervento di un copista: “quest’opera per la sua bellezza, mentre veniva copiata continuata, ebbe quasi a perdersi per la temerità di uno che nel lucidarla penetrò il colore e li dintorni che la guastò tutta”. Gli stessi verbali della Confraternita di Senigallia registrano tracce precise dell’accaduto e del fatto che il dipinto risultava piuttosto compromesso. In  occasione di lavori di ampliamento della chiesa, tra il 1601 e il 1608, l’opera fu inviata ad Urbino direttamente al Barocci per un intervento di restauro, di cui sono state individuate tracce cospicue in un successivo restauro del 1973-1975. Il Barocci di fatto compì una vera e propria revisione, perché il colore fu ripassato, le carni arrossate e le luci rialzate.