Madonna del Rosario

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TECNICA: Olio su tela

DIMENSIONI: cm 290x196

DATA: 1589-1593

RESTAURO: 1972-1973 ad opera dell’Istituto Centrale del Restauro.

Firma sul margine inferiore sinistro: “Bar(…)” (rinvenuta dopo il restauro).

 

Dopo “La sepoltura di Cristo” per la Confraternita della Croce e Sacramento di Senigallia, Barocci realizzò una seconda opera per la città marchigiana, su commissione della Confraternita dell’Assunta e del Rosario. Le fonti documentarie, minuziosamente analizzate da Anselmi, permettono di ricostruire la genesi di questa seconda commissione senigalliese: dopo aver ammirato il dipinto nella Chiesa della Croce, le consorelle del Rosario iniziarono la raccolta del denaro per la pala in esame. Nel 1588 erano pronti 200 scudi, tanto che nel mese di settembre fu inviato ad Urbino messer Ottavio Genga per stipulare il contratto. L’opera sarebbe costata 500 scudi, di cui 200 come acconto; altri 100 furono versati, come da accordi, a metà dell’opera; del saldo finale di altri 200 scudi, invece, non restano tracce documentarie. Grazie al contenuto di una lettera del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, è stato possibile concludere che il dipinto fu posto dal Barocci nella chiesa di San Rocco di Senigallia all’incirca nell’agosto del 1592. Probabilmente l’artista sottopose l’opera a successivi completamenti negli anni 1596-1599.

Come ricordato dal Bellori e dal Lanzi la tela era originariamente contornata da quindici riquadri raffiguranti i “misteri del rosario”, opera dell’allievo del Barocci Antonio Viviani detto il Sordo (Urbino 1560-1620). Tali riquadri sono ricordati ancora da Luigi Serra nel suo inventario del 1936, termine post quem, dopo di che furono scorporati dal dipinto e dispersi. Nel secondo dopoguerra, in seguito ai danni subiti dalla chiesa di San Rocco, l’opera fu trasferita presso il palazzo vescovile di Senigallia ed esposta poi all’interno della Pinacoteca Diocesana (inaugurata il 16 maggio 1992).

Come di consueto, esistono numerosi disegni preparatori relativi a questo dipinto, che testimoniano la straordinaria ricchezza ideativa dell’artista.  Molti di essi sono conservati a Berlino, ma si ricorda anche l’eccezionale bozzetto di “studio per i lumi” dell’Ashmolean Museum di Oxford, realizzato dall’artista per elaborare l’impostazione chiaroscurale e coloristica della pala.

L’opera è stata sottoposta ad un delicato intervento di restauro dall’Istituto Centrale del Restauro nel 1973, ma le sue condizioni continuano purtroppo a non essere ottimali, principalmente per danni causati da arrotolamenti dovuti al fatto che in San Rocco la tela fungeva da tenda per una scultura.

Nella scena sono raffigurati in alto la Vergine Maria con il rosario e Gesù Bambino in braccio circondati da cherubini e angeli, in parte nudi e in parte vestiti; in basso, inginocchiato a terra e con il capo rivolto verso i protagonisti, è dipinto san Domenico, erroneamente identificato dal Bellori e dal resto della tradizione storiografica con san Giacinto. Come nel “Perdono di Assisi”, Barocci sceglie una complessa impostazione verticale per creare un profondo ed intenso legame tra le due figure, della Madonna e di san Domenico, l’una celeste e l’altra terrena, distanti ma vicine in un perfetto equilibrio strutturale. San Domenico è costruito secondo una precisa prospettiva per cui il suo sguardo ascende verso la Vergine col Bambino attorniata dagli angeli. Il personaggio è posto in primo piano, scorciato di traverso a creare un collegamento tra lo spettatore e il gruppo celeste. La gestualità delle figure e, soprattutto, l’attento e studiato gioco di luci e ombre, che esaltano la zona terrena per ascendere poi all’irresistibile nimbo luminoso, accentuano l’intensa passionalità della scena e l’assoluta dolcezza degli sguardi, elemento, quest’ultimo, tipico della poetica degli affetti baroccesca.

In alcuni disegni preparatori si nota grande cura dell’artista nella resa delle mani del santo, che afferra i lembi del proprio mantello per porgerlo verso l’alto, in attesa della rosa che la Madonna mostra di lasciar cadere; nella versione finale, però, l’artista opta per un rosario nella mano destra di Maria, probabilmente per soddisfare una specifica richiesta della committenza.