Storia della famiglia Albani

print this page

Giandomenico AlbaniLa famiglia degli Albani deve il suo nome al villaggio d'origine, Albano Sant'Alessandro (provincia di Bergamo), ove sono attestati sin dal XII secolo.

A partire dal XV secolo gli Albani furono invischiati in una faida con un'altra potente famiglia di notabili bergamaschi, i Brembati.

Il giorno 12 novembre 1518 il nobile Socino Secco, mentre torna a casa con il signor Ludovico Suardo, è ferito per mano del signor Marc. Antonio Longhi e dei suoi cavalieri armati.

Il 31 gennaio 1536 il signor M . Antonio fu Abbondio è morto nella sua rocca di Urgnano, dopo aver lasciato come eredi testamentarie le sue due figlie, Teodora e Laura; nell'archivio di stato di Bergamo, nel fondo notarile, vi si conserva l'atto rogato dal notaio Giovanni Vavassori da Medolago (cart. n°1136) in data 18 luglio 1538 con cui è stabilita, i comune accordo dalle due sorelle, la divisione dei beni spettante ad ambedue e lasciati in eredità dal loro padre.

Come scrive il notaio, quest'atto fu rogato nella rocca di Urgnano e precisamente in una camera a volta (camera alterata) posta «versus montes» quindi a nord; è da supporre che questa sala fosse il luogo più significativo e solenne di tutta la rocca.con il signor Ludovico Suardo, è ferito per mano del signor Marc. Antonio Longhi e dei suoi cavalieri armati.
Il 31 gennaio 1536 il signor M . Antonio fu Abbondio è morto nella sua rocca di Urgnano, dopo aver lasciato come eredi testamentarie le sue due figlie, Teodora e Laura; nell'archivio di stato di Bergamo, nel fondo notarile, vi si conserva l'atto rogato dal notaio Giovanni Vavassori da Medolago (cart. n°1136) in data 18 luglio 1538 con cui è stabilita, i comune accordo dalle due sorelle, la divisione dei beni spettante ad ambedue e lasciati in eredità dal loro padre.

Nella divisione dei beni ivi stabilita e sottoscritta, la rocca con tutte le sue pertinenze, toccò a Teodora con altre terre poste in Urgnano, Ghisalba e Martinengo.
A Laura toccarono terre e proprietà site in Mornico e Martinengo ed in altre località vicine.
Ma un anno dopo Teodora, con il consenso del marito Pietro Francesco Visconti di Milano, vendette al marito di sua sorella il cavalier Giangirolamo Albani la rocca di Urgnano per 10 .000 scudi d'oro, come risulta dall'atto di vendita rogato dal notaio Giovanni Maria Rota e conservato sempre sul fondo notarile dell'Archivio di stato di Bergamo.
Fu stabilito fra le parti che i 10.000 scudi d'oro dovessero essere pagati 1.700 subito alla stipulazione dell'atto, 2.300 entro la pasqua del 1.540 e 6.000 scudi d'oro entro 3 anni.
Così la rocca di Urgnano passava in proprietà degli Albani, certamente una delle famiglie più influenti e rappresentative di Bergamo.
Ricordiamo ancora brevemente che in quell'atto di vendita veniva specificato che con la roca vera e propria passavano in mano degli Albani tutti i terreni e gli edifici che la circondavano, con la casa del massaro, le stalle ed i fienili e con tutti i terreni coltivati a grano, a vite, a prato, siti nel territorio di Urgnano.
E' interessante a questo punto fare alcune considerazioni su come in questo periodo si presenta architettonicamente la rocca di Urgnano. Sicuramente al momento dell'acquisto Albani era molto diversa da come ora si presenta, non esisteva ad esempio il corpo a «C» ovverosia quelle stanze poste ai lati del cortiletto.

rocca_urgnano

Dobbiamo precisare che anziché esserci tali edifici vi erano nei quattro angoli del castello rispettive torrette, simili a quella crollata nell'angolo sud/est nel 1968: non esisteva il giardino pensile, anch'esso costruito verso il 1800; l'entrata principale era posta nella torre nord e in detta torre come in quella sud vi erano alcuni locali adibiti ad alloggio.

Giangirolamo, impegnatosi nella lotta contro il diffondersi del luteranesimo tra le valli bergamasche, ebbe contatti con l'inquisitore Antonio Michele Ghisleri, pare ospitato proprio dall'Albani durante la sua fuga precipitosa da Bergamo (15 maggio 1551).

Il 1º aprile 1563 i figli di Giovanni Gerolamo (Giovanni Domenico, Giovanni Francesco e Giovanni Battista), insieme a Manfredo Landi, uccisero con un colpo di archibugio Achille Brembati durante la messa celebrata in Santa Maria Maggiore. Giovanni Domenico Albani e Landi si diedero alla fuga ma Giovanni Francesco e Giovanni Battista, insieme al padre vennero arrestati (5 aprile) e condannati all'esilio (2 settembre). Nel 1566 Ghisleri, eletto Papa Pio V, costrinse la Serenissima a revocare il bando sugli Albani e nel 1570 creò Giovanni Gerolamo cardinale di San Giovanni a Porta Latina.

Nonostante la carriera ecclesiastica e la condotta morale di Giovanni Gerolamo, i suoi figli proseguirono nella loro condotta criminale tanto che, morto Giovanni Domenico Albani (1611), Venezia decise di revocare i diritti della famiglia su Urgnano nel 1612. Banditi da Bergamo, gli Albani restarono però padroni delle loro terre in Urgnano, ospitando l'imperatore Ferdinando III. Grazie ai servigi resi alla Serenissima dal condottiero Giovanni Domenico Albani nella lotta contro gli ottomani, la famiglia venne reintegrata ufficialmente nei suoi domini nel 1673.
Confermati nei loro domini da Venezia nel 1704, gli Albani ospitarono nella rocca d'Urgnano la futura imperatrice Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel (1708) durante il suo viaggio di nozze con Carlo VI d'Asburgo.

Gli Albani, nel periodo che mantennero la proprietà del vecchio maniero di Urgnano, furono presenti in moltissimi fatti e avvenimenti legati alla vita del paese.
Tra le loro cariche principali furono alla guida di associazioni e istituzioni locali, e tutto questo avvenne anche se, a un certo punto, la rocca di Urgnano fu utilizzata da loro solo come residenza estiva, portando quindi la propria abitazione quotidiana in città. Difensori del comune; ecco un titolo di cui gli Albani si fregiano nel 700 e che nella sostanza manterranno per tutto il secolo successivo, per il momento la loro funzione, oltre a quella di arbitrare le liti, fu quella di appoggiare le richieste degli urgnanesi presso le autorità di Venezia, rese più significative dalla crescita delle attività, della popolazione e dei bisogni.
Di un G . Estore Albani, che fu tra l'altro sindaco di Urgnano nel 1807 e presidente della congregazione di carità nel 1811, abbiamo trovato una bellissima pubblicazione, finemente lavorata ed effettuata in occasione delle nozze tra lo stesso conte Giovanni Estore Albani con la contessa Paola Martinengo.
Tale volume, tuttora conservato presso la biblioteca civica cli Bergamo e datato1781, riporta numerose poesie e sonetti per gli sposi ed il loro casato di appartenenza. Questa augusta coppia lasciò di sè numerose tracce che si possono ammirare ancora oggi nelle sale interne del castello, tra cui spicca il bellissimo stemma
posto all'interno del camino della sala rossa ; lo stemma rappresenta una faccia di graziosa dea, che unisce con le trecce dei suoi capelli due stemmi posti ai suoi lati : sono appunto gli stemmi di di G . Estore Albani e Paola Martinengo.
Leggendo in tale pubblicazione la data 1781, pensiamo che detto matrimonio sia avvenuto in tale anno e che la coppia per un certo periodo abitò nel castello stesso. Nel corso del secolo XIX gli Albani ebbero in Urgnano altre importanti cariche.

giardino_roccaNell'anno 1842 avvenne un restauro della Rocca dovuto all'intraprendente conte Venceslao Albani; venne collocato attorno alla fortezza un giardino botanico con pregiate piante provenienti anche da donazioni di personaggi austriaci che il conte Venceslao Albani conosceva; di lui dobbiamo dire che oltre a collocare in maniera definitiva detto giardino si prodigò nel recupero e nella ristrutturazione del castello stesso, da anni abitato solo dai discendenti del famoso conte, cardinale nel periodo estivo come casa di villeggiatura, ecco quindi l'avvicendarsi in detto periodo di architetti illustri che misero mano a gran parte della struttura del castello urgnanese.

In particolar modo fecero riferimento anche a diversi scultori all'epoca estremamente accreditati come Giovanni Maria Benzoni, che per loro, oltre ad eseguire nel 1848 per il conte Giacomo Medolago i cinque medaglioni in marmo di Carrara ispirati a scene di Torquato Tasso di Palazzo Medolago Albani, realizzò numerose opere di scultura.

Venceslao Albani proprio con questo personaggio ripercorreremo ora le fasi le quali portarono al declino della famiglia Albani in Urgnano: in lui e attraverso quanto a lui è successo riscopriremo perché il castello di Urgnano rimase così spoglio nell'arredo e che fine fecero i molti tesori contenuti in esso.

Venceslao fu podestà di Bergamo per vari anni, negli ultimi tempi della dominazione austriaca, aveva Prospetto delle strade di ferro eseguite e progettate nel Regno Lombardo – Venetoimpiantato un istituto bancario, al quale ricorreva un gran numero di cittadini, data la sua preminente posizione, la sua bontà d'animo, e la possibilità finanziaria di cui era dotato.
Avendo così disponibili larghi capitali, arrischiò somme ingenti per lavori di pertinenza dell'amministrazione austriaca, imprese colossali, quali la costruzione del viale della stazione a Bergamo oggi viale Roma (precorrendo i tempi per la larghezza della strada), il grandioso palazzo municipale, il tronco ferroviario Treviglio-Bergamo.

Con la caduta della dominazione austriaca, venne sciolto ogni impegno finanziario, cosicché il povero conte, che si era impegnato personalmente, fu dichiarato in fallimento. Corse egli dai rappresentanti di Radetzkj, ma si sentì dire: "la cassa è partita seguite la corte a Vienna!".
Risulta ora facile intuire che ciò diede luce ad un disastro inaudito, tutto il suo patrimonio e quello della famiglia cadde in mano ai creditori, il palazzo di Bergamo venne posto all'asta e fu acquistato dall'avvocato Gian Maria Bonomi, la stessa sorte toccò ai numerosi oggetti preziosi presenti nel castello di Urgnano, vendendo pure dopo qualche tempo i brillanti del diadema della contessa.


Già in precedenza (1848) il conte Venceslao aveva dimostrato il suo patriottismo per la causa italiana, donando al governo provvisorio di Lombardia quintali di argenterie per facilitare il conio delle monete, decretato il 27 maggio del 1848, e prima ancora aveva ceduto gratuitamente alla città di Bergamo tutte le azioni della ferrovia Bergamo-Treviglio già a lui concesse dal governo austriaco per il suo largo contributo finanziario, per un valore di oltre un milione di svanziche .