Il Seicento: carestie, rivolte popolari e provvedimenti
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Nel 1640 Giuseppe Ripamonti scrive nel De peste Mediolani quae fuit anno MDCXXX:
“Per legge naturale e umana è stato fissato che l’uomo che l’uomo, nato alla ragione, alla virtù, al cielo, si nutra di pane, alimento stimato suo proprio da quando i primitivi lasciarono ghiande e boschi e al buon nome del genere umano importò che quelle mense fossero lasciate agli animali”, a conferma di una tra le numerose affermazioni contenute in molti documenti prodotti già nei secoli precedenti, come: Niuna cosa fa star li populi più pacifici et contenti quanto è l’abundantia del vivere et, per contrario, niente è che più metta li subditi in desperatione quanto è la carestia (Registri Ducali, v. 26, f. 185, 1500 marzo 13).
dettaglio da: David Teniers le Jeune (1610-1690), Les travaux de sept Corporal Mercy,
Londra, Dulwich Picture Gallery. Immagine libera da copyright
Nel XVII secolo la scarsezza dei raccolti e poi la carestia sono temi frequentemente dibattuti, non solo nei saggi degli economisti e degli storici, ma anche nei documenti ufficiali.
Il provvedimento adottato generalmente e prevedibilmente dagli organi di governo è quello del calmiere, che garantisca un tetto massimo di spesa sui generi di prima necessità (Si veda la scheda relativa al "Calmerium rebus venalibus" nella pagina Grani, farine e pane del XVI secolo).
Nell’opera Sul commercio dei commestibili e caro prezzo del vitto (Avignone 1830), Melchiorre Gioia – dopo la “lettura mortalmente nojosa di otto o nove mila gride” – delinea un quadro storico/divulgativo del commercio, e propone la sua teoria economica. In particolare, critica severamente il calmiere come soluzione, affermando che il popolo “non vede che sotto questo calmiere s’ascondono le frodi de’ venditori, e che se egli paga cinque ciò che non vale che quattro, succede appunto in forza della meta”.
L’episodio più noto è sicuramente quello dell’assalto al Prestin de’ Scans. Ripamonti scrive:
“Era il giorno di San Martino, sempre lieto e generalmente di festa”, ma nel 1628 preceduto da “multa tristia, multa horrenda exempla famis”, secondo Ripamonti: casi in cui “ovunque cadevano i corpi consunti dalla mancanza di cibo, o erravano per i crocicchi, per le chiese, ed erravano con apparenza di cadaveri, e subito cadaveri diventavano” (Ripamonti, 1641).
dettaglio da: Gallo Gallina (1796-1874), Accuse contro gli untori durante la peste del 1630 a Milano,
litografia da I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Immagine libera da copyright
E narra Alessandro Manzoni: “Era quello il second’anno di raccolta scarsa. Nell’antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628 [...]. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l’esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.”
“[...] I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d’alcune derrate, d’intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d’attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva”.
“Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de’ fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d’uno di que’ malcapitati ragazzi dov’era un crocchio di gente, fu come il cadere d’un salterello acceso in una polveriera. “Ecco se c’è il pane!” gridarono cento voci insieme [...] “Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiare pane anche noi”, dice il primo; prende un pan tondo, l’alza, facendolo vedere alla folla, l’addenta: mani alla gerla, pani per aria” (Promessi Sposi, cap. XII).
Così il forno delle grucce, nella corsia dei Servi, viene preso d’assalto, e “un bianco polverio […] per tutto si posa, per tutto si solleva e tutto vela e annebbia”, mentre il capitano di giustizia rischia di essere linciato, la casa del vicario di Provvisione è assediata, e solo l’arrivo di Ferrer riesce a placare – con fatica – la folla.
La vicenda di Anna Pavese
Incartamento relativo al processo subito da Anna Pavese per aver contravvenuto alle gride
1604
Carta, cm. 27.5 x 18,8
Atti di Governo - Annona p.a., b. 39
Nel 1604 si svolge lo scontro tra Anna Pavese e il prestinaro di Porta Romana. La Pavese è stata scoperta a cuocer pane in casa, e si appella alla consuetudine per evitare una condanna, oltre a definire essageratione l’attacco del prestinaro di Porta Romana e a dichiarare di aver cotto pane di segale et formento per uso suo et della famiglia. I suoi appelli sono vani ed è condannata secondo la legge, perdendo anche il pane che ha in casa.
Sugli accidenti occorsi prima del più noto tumulto
Lettera al Governatore
1628 novembre 6, Milano
Carta, cm. 32 x 21
Atti di Governo, Annona p.a., b. 29
Lettera del Presidente e dei Maestri delle Regie Ducali Entrate che scrivono al Governatore in seguito agli accidenti occorsi in questi giorni in materia del pane allo scopo di rimediare alli disordini che maggiormente ponno nascere. In particolare, allo scopo di tutelare i prestinari, propongono un’interrogazione generale sulle quantità di pane, farine e legumi che ha ciascuno. Ritengono utile che quanti – pur vivendo all’esterno di Milano – si trovino a possedere più grano di quanto necessitano, lo diano alla città. Infine, propongono di abbassare ulteriormente la meta del pane.
Grida in tempi di calamità straordinarie
1630 agosto 29, Milano
Carta, cm. 38 x 27,5
Atti di Governo, Annona p.a., b. 29
Grida del Gran Cancelliere volta a individuare il rimedio più efficace alla carenza di produzione di pane nel periodo immediatamente successivo all’epidemia di peste del 1628.
Il provvedimento, concluso dal noto vidit Ferrer, autorizza qual si voglia persona in questa città, e borghi il fabricare, o far fabricare liberamente qualunque quantità di pane di formento, dal momento che il mortifero contagio hà consumato una gran parte de’ prestinari di pan bianco venale.
Un segreto... rimasto tale
Atti della Consulta del Magistrato Straordinario
1660 agosto 25, Milano
Carta, cm. 19 x 14,5; cm. 30,2 x 20,5
Atti di Governo, Annona p.a., b. 30
Atti relativi alle affermazioni di una persona che sosteneva di aver trovato il sistema per conservare frumento e riso per dieci anni.
La Consulta riferisce essersi presentata persona qualificata sedicente posseditrice di un segreto per conservare incorrotto per dieci anni avvenire tanto il frumento quanto il riso bianco, a patto di ricevere un finanziamento per un esperimento. Tuttavia, la richiesta era stata inoltrata più volte e gli esperimenti condotti non avevano dato esito positivo.