Levi (1975a)

Fonte:
Primo Levi, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1975.

«Mi disse che lo stipendio offerto era soggetto a rapidi aumenti; che il laboratorio era moderno, attrezzato, spazioso; che esisteva in fabbrica una biblioteca con più di diecimila volumi [...].
L'indomani stesso mi licenziai dalle Cave, e mi trasferii a Milano [...].
Quanto alla biblioteca, le norme da rispettare erano singolarmente severe. Per nessun motivo era ammesso portare libri fuori della fabbrica: si potevano consultare solo col consenso della bibliotecaria, la signorina Paglietta. Sottolineare una parola, o anche solo fare un segno a penna o a matita, era una contravvenzione molto grave: la Paglietta era tenuta a controllare ogni volume, pagina per pagina, alla restituzione, e se trovava un segno, il volume doveva essere distrutto, e sostituito a spese del colpevole. Era proibito anche soltanto lasciare fra i fogli un segnalibro, o ripiegare l'angolo di una pagina: «qualcuno» avrebbe potuto ricavarne indizi sugli interessi e le attività della fabbrica, violarne insomma il segreto. [...]
Pochi giorni dopo la mia assunzione, il Commendatore mi chiamò in Direzione [...]. La prima cosa che dovevo fare, era di andare in biblioteca, a chiedere alla Paglietta il Kerrn, un trattato sul diabete: io conoscevo il tedesco, non è vero? Bene, cosí avrei potuto leggerlo nel testo originale, e non in una pessima traduzione francese che avevano fatta fare quelli di Basilea. [...] Che mi prendessi dunque il Kerrn e me lo leggessi con attenzione, poi ne avremmo riparlato insieme. [...]
La bibliotecaria, che non avevo mai vista prima, custodiva la biblioteca come lo avrebbe fatto un cane da pagliaio, uno di quei poveri cani che vengono deliberatamente resi cattivi a furia di catena e di fame; o meglio come il vecchio cobra sdentato, pallido per i secoli di tenebra, custodisce il tesoro del re nel Libro della Giungla. La Paglietta, poverina, era poco meno che un lusus naturae: era piccola, senza seno e senza fianchi, cerea, intristita e mostruosamente miope; portava occhiali talmente spessi e concavi che a guardarla di fronte i suoi occhi, di un celeste quasi bianco, sembravano lontanissimi, appiccicati in fondo al cranio. Dava l'impressione di non essere mai stata giovane, quantunque non avesse certo piú di trent'anni, e di essere nata lí, nell'ombra, in quel vago odore di muffa e di chiuso. Nessuno sapeva niente di lei, il Commendatore stesso ne parlava con insofferenza stizzita, e Giulia ammetteva di odiarla per istinto, senza sapere il perché, senza pietà, come la volpe odia il cane. Diceva che puzzava di naftalina e che aveva la faccia da stitica. La Paglietta mi chiese perché volevo proprio il Kerrn, volle vedere la mia carta d'identità, la scrutò con aria malevola, mi fece firmare un registro e mi abbandonò il volume con riluttanza.
Era un libro strano: difficilmente avrebbe potuto essere stato scritto e stampato altrove che nel Terzo Reich.»

(Primo Levi, Fosforo, in Il sistema periodico, p. 113-130: 114-123).

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