Il Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Torino

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I BOLLETTINI DELL’ORDINE DEI MEDICI

Giovanni Battista Caffaratto era abbonato al "Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Torino", un periodico a cadenza quindicinale che aggiornava sulle attività dell'Ordine in sede locale e ospitava interventi e approfondimenti dedicati a temi di carattere sanitario. Lo spoglio del posseduto (1912-1919) ha evidenziato, nonostante le lacune relative proprio agli anni della guerra, alcuni temi legati alla sanità militare, alla vita dell’Ordine durante il conflitto e al ruolo dei medici nei teatri di guerra.

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La posizione dei medici di fronte alla guerra e il Comitato Sanitario Piemontese di Propaganda

Nel maggio del 1915 il Bollettino annunciò che “l’Italia nostra ha ora deciso di intervenire nel conflitto”. In questa fase iniziale la posizione dell’Ordine fu piuttosto neutrale: pur definendo “legittime” le aspirazioni nazionali che spinsero all’intervento, si osservava che “Una istituzione, quale è l'Ordine dei Medici, nè può, nè deve esprimere giudizi: deve però esprimere l'augurio che la nostra Italia dall'immane conflitto internazionale esca forte, compatta, vittoriosa” (IV, 9; 15 maggio-1 giugno 1915).

Presto però la situazione mutò: il Bollettino si schierò a favore della causa patriottica e già nel dicembre del 1915 diede voce al nascente Comitato Sanitario Piemontese di Propaganda. Sul numero 10 venne pubblicata la circolare con la quale un Comitato provvisorio invitava i presidenti delle Associazioni professionali sanitarie a una riunione “per stabilire le basi di questa utile e benefica propaganda”. La circolare chiarisce le ragioni della nascita del Comitato, ispirato all’azione di propaganda già messa in atto dalle Associazioni degli Insegnanti. Si sottolineava che “due sono le potenze che possono giovare alla coscienza nazionale del nostro paese e favorire questa santa propaganda; il maestro ed il medico, […] le sole autorità intellettuali dei nostri comuni”. Se all’insegnante “è affidata la mente ed il cuore della gioventù”, il medico “può svolgere un apostolato nelle famiglie de’ suoi clienti con un’azione costante e continuata, penetrare nella coscienza degli umili e educarla al culto delle idee generose e patriottiche”.

Durante la riunione tenutasi il 21 novembre si stabilì che ogni medico, farmacista o veterinario “si adoperi perché l’idea della guerra nazionale si renda sempre più popolare, facendone comprendere le cause storiche e l’assoluta necessità per il presente e per l’avvenire; che si faccia centro di propaganda patriottica” (IV, 10, dicembre 1915, pp. 16-18). L’attività del Comitato, accanto alla capillare azione di propaganda presso i pazienti, doveva concretizzarsi nell’organizzazione di conferenze e nella distribuzione di opuscoli e manifesti1.

Una delle preoccupazioni del Comitato era infatti quella di fornire ai medici gli strumenti concettuali per poter mettere in atto la loro azione di persuasione. Con questo intento vennero organizzate due conferenze del professor Bertarelli dell’Università di Parma “su argomento patriottico elevatissimo” e altre vennero tenute nei centri piemontesi dal presidente dell’Ordine, il dottor Vinaj, figura di spicco e attivo promotore del Comitato. La stessa finalità di indottrinamento patriottico rivolta i medici si riscontra in un testo di propaganda, a firma G.S.V., dal titolo I sanitari italiani e l’opera loro nell’ora presente comparso sul bollettino del gennaio 1916. Gli argomenti che i medici erano invitati a trasmettere ai loro pazienti erano basati sulla denigrazione del nemico e sulla messa in luce dei pericoli della “dominazione di un popolo che con tutti i mezzi cerca di assorbirci e di depauperarci, di renderci oggi schiavi nel campo commerciale e industriale”. Il testo conclude osservando che "l’apostolato di propaganda, una scuola lenta e continua di vero patriottismo e di filosofia pratica” è più semplice “nei centri di cultura” dove “le menti hanno già un certo affinamento pel contatto degli studiosi, dove gli stimoli provocati dai bisogni materiali sono meno imperiosi”, mentre è più gravoso e difficile “nei piccoli centri, negli isolamenti delle campagne”, dove “giunge rara la parola animatrice e la ragione delle cose e degli eventi si trova troppo spesso oscurata dal pregiudizio e dall’ignoranza”. Proprio qui, secondo Vinaj si devono concentrare gli sforzi di medici e insegnanti, in quanto “tratto di unione che sta fra quel mondo dell’operosità intellettuale e quello dell’operosità semplicemente muscolare” (V, 1-2, gennaio-febbraio 1916, p. 11) .

L’attività di propaganda di insegnanti, medici e psichiatri2 rispondeva in effetti a un’esigenza particolarmente sentita in occasione della Grande Guerra, dal momento che i soldati italiani e i loro congiunti, spesso contadini che avevano sempre vissuto nel proprio paese, non avevano alcun senso di appartenenza alla patria, concetto che esulava dal loro immaginario; non comprendevano le ragioni della guerra perché non contemplavano il nuovo Stato Italiano, le vicende politiche, le cause e le dinamiche in gioco3.

Fra i medici non mancarono le voci discordi che, come faceva notare con evidente sconcerto il dott. Vinaj nel luglio del 1918, presero posizione contro il Comitato e protestarono perché il Bollettino aveva assunto una chiara posizione politica tradendo la neutralità della professione medica.

Del Comitato si occupò anche Antonio Gramsci in un articolo del 9 aprile 1918 pubblicato nella rubrica Sotto la Mole dell’edizione torinese dell’Avanti!. Nell’esprimere la sua posizione, naturalmente molto critica, Gramsci riferiva di una riunione del Comitato in cui i medici “hanno sentito un discorso contro il disfattismo, si sono sciroppata la lettura di una lettera idem [del professor Vinaj], ed hanno votato un ordine del giorno con il quale "protestano contro l'opera depressiva ed antinazionale svolta in parlamento e fuori da qualche collega che nel momento storico attuale, in cui è tanto sentita necessità di concordia e di spirito e sacrificio, ha cercato di svolgere un'azione o aperta o subdola, sempre nefasta, di disfattismo”.Gramsci riconosceva però ai medici del Comitato la nobiltà della proposta di rinunciare allo stipendio statale accontentandosi “dei maggiori guadagni prodotti dalla mancanza dei colleghi”.

Il Comitato, accanto all’attività di propaganda politica, svolgeva un’azione di informazione, divulgazione e formazione di carattere tecnico-sanitario tramite, ad esempio, la pubblicazione del volumetto Norme per la scelta dei cibi più in uso e per la loro miscela a scopo di alimentazione igienica ed economica (Biella Stabilimento Tipografico G. Testa, 1917) o l’organizzazione della conferenza del dott. Piccardi sui metodi per arginare il diffondersi delle malattie “celtiche” nell’esercito (a tal fine verrà anche pubblicata dal Comitato “una breve ma concettosa pubblicazione d’istruzioni e di consigli” da distribuire ai soldati) (V, 3, marzo 1916, p. 31).


La medicina di guerra. Nel 1912 iniziarono a comparire sul Bollettino riferimenti alla medicina di guerra, in particolare alle modalità di approccio, al ruolo del medico al fronte e in ambito civile, alla formazione specifica per far fronte alle emergenze di guerra. L'occasione era evidentemente il conflitto che impegnava le truppe italiane in Africa. Nel Bollettino, II, 4, 1 aprile 1913, a proposito della formazione militare, un medico firmatosi con lo pseudonimo Agatodemon scrisse:

un ricordo, in compagnia di tanti altri, si è conservato, ed è il ricordo dei sette mesi trascorsi alla Scuola di sanità di Firenze. Allorquando il pensiero vola a quei tempi lontani, esso ricorda sempre il paragone che l'insegnante di Traumatologia stabiliva, e giustamente, tra il medico condotto ed il medico militare in guerra, costretti l'uno e l'altro a valersi dei mezzi più semplici e maggiormente a portata di mano.

Il ruolo del Bollettino fu anche quello di proporre un dibattito sulle rilevanti questioni della medicina contemporanea, come il problema della rieducazione degli invalidi di guerra.

Tra le tragiche sorprese che ci serbava l'epoca straordinaria in cui viviamo, una di quelle che, per l'orrore e la grandezza, sentono più profondamente la pubblica opinione, è lo straziante spettacolo dei numerosi soldati che i metodi di combattimento delle guerre odierne, restituiranno alla vita civile, mutilati e storpi. È un problema della più grande importanza che s'affaccia, e ci si domanda quale sarà la sorte di questi invalidi a cui sarà si spesso difficile od anche impossibile di guadagnarsi la vita col loro lavoro abituale.

Così esordiva il saggio del dott. Bourrillon che, comparso sulla Revue Philantrophique (dicembre 1915-gennaio 1916), veniva tradotto e pubblicato sulle pagine del Bollettino con il titolo “La rieducazione professionale degli invalidi delle guerra” (V, 3, marzo 1916, pp. 12-29). Il lungo scritto affrontava il tema sotto diversi aspetti, dai problemi tecnici degli arti meccanici all’organizzazione delle scuole per la preparazione professionale dei mutilati, dalla chirurgia ortopedica alla condizione psicologica degli invalidi.


La costruzione della memoria. Il Bollettino mostra il progressivo organizzarsi dell’Ordine nel rendere onore ai colleghi caduti. I primi necrologi brevi e incerti (IV, 10, dicembre 1915, pp. 5-6), gli appelli per ottenere notizie, la necessità di stabilire, durante il Congresso Federale, in che modo commemorare i caduti (idem, p. 7), evidenziano un iniziale spaesamento; via via si giunse a lunghi e articolati scritti, come quello in memoria del medico Mario Sapegno, docente di anatomia patologica (VII, 3, luglio-dicembre 1918, pp. 31-34), ad azioni coordinate e a iniziative di varia natura come la pubblicazione della Statistica dei medici morti, feriti, malati, prigionieri o decorati in guerra (V, 1-2, gennaio-febbraio 1916, p. 8), la compilazione del Libro d’Oro (VII, 3, luglio-dicembre 1918, pp. 15-16), la sottoscrizione per fondare una borsa di studio a nome del dott. Raffaele Paolucci presso il Collegio degli Orfani dei Sanitari di Perugia (VII, 3, luglio-dicembre 1918, pp. 14-15) o la proposta di pubblicare una raccolta di ritratti e necrologi da inviare ai medici, alle biblioteche e ai musei (idem, p. 7).


Le sottoscrizioni. Tramite una serie di sottoscrizioni, rivolte sia ai medici sia, più in generale, ai cittadini, il Bollettino era anche uno strumento di raccolta fondi. Si costituì ad esempio il “Fondo di soccorso contro i più gravi danni della guerra patiti dai medici e loro famiglie”, promosso il 15 agosto 1915 dalla Presidenza dell’Ordine (IV, 10, dicembre 1915, p. 14).

Interessante fu la raccolta fondi, andata a buon fine, finalizzata all’acquisto di “un automobile fornito di tutti i più perfezionati apparecchi per la radiografia” da offrire alle Autorità Militari del 1° Corpo d’Armata  della Sezione Torinese della Croce Rossa impegnato negli ospedali militari e da campo (maggio-giugno 1915, p. 33). Lo strumento radiografico già in uso, un “buon apparecchio, mosso a mano, e someggiabile, ideato e fatto costrurre dal nostro illustre e benemerito concittadino il Generale medico Ferrero di Cavallermaggiore”, era inadatto a diagnosi particolarmente complesse. Dal bollettino di marzo del 1916 (V, 3) emerge che tale sottoscrizione andò a buon fine e l’auto prodotta “dalle case Isotta e Fraschini, e Balzarini”, venne acquistata.


I medici richiamati. Tra i temi ricorrenti figura la questione dei medici anziani richiamati, la cui età non corrispondeva al grado e alla retribuzione e che le circostanze belliche vedevano talvolta sottoposti a colleghi più giovani; il dibattito si inseriva in una protesta di carattere più generale, iniziata prima della guerra, sulle condizioni retributive e di carriera degli ufficiali medici (II, 4, 1 aprile 1913; II, 7-8, 15 giugno 1913) e che con l’aprirsi del conflitto assunse toni più accesi (IV, 10, dicembre 1915, p. 11).

La medicina civile in tempo di guerra. Durante l’assemblea del 19 marzo 1916 si discusse della difficoltà di garantire la normale attività dei medici condotti e dei “servizi degli enti ospedalieri” che risultavano sguarniti di personale e “scompaginati per i continui richiami”. Dalla discussione emerge che il governo “allo scopo di conciliare le necessità militari con i servizi civili, ha dato in mano all’autorità prefettizia […] il potere di requisire i medici, da qualunque posto essi siano, e destinarli ai servizi che ne avessero bisogno”. In ogni caso il presidente dell’Ordine si impegnò a sollevare il problema durante la riunione del Consiglio Federale che si sarebbe tenuta di lì a poco (V, 3, marzo 1916, p. 2 e 8).

In occasione dell’assemblea, i dottori Casassa e Pozzi chiesero al presidente di far presente all’Agente delle Imposte che i medici richiamati e rimasti a Torino e gli specialisti vedevano diminuito il reddito poiché la loro opera, legata a malattie acute e febbrili, era meno richiesta; il Presidente riferì di aver già posto il problema all’Agente delle Imposte ma egli aveva replicato che, al contrario, “questi non hanno danno alcuno, ma anzi percepiscono uno stipendio che prima non avevano” (Ibidem).

Dallo stesso numero del Bollettino emergono alcune attività legate al conflitto e alla medicina di guerra promosse dall’Associazione Medica Torinese nel 1915: accanto, come si è visto, alle sottoscrizioni e al sostegno al Comitato Sanitario Piemontese di Propaganda, l’Associazione organizzò un corso per “dare ai giovani medici torinesi, alla vigilia della loro chiamata sotto le armi, quelle cognizioni di medicina, di chirurgia, d’igiene e di organizzazione” indispensabili per esercitare al fronte. Non volendo “limitare la propria opera a beneficio dei soli medici”, l’Associazione promosse un corso, replicato per far fronte al numero di iscritti, volto alla formazione del personale di infermeria (V, 3, marzo 1916, pp. 30-32).


Il dopoguerra. Il bollettino numero 3 del 1918, con un breve paragrafo dal titolo “Vittoria”, annunciò la fine della guerra rivendicando il ruolo ricoperto dai medici al fronte (VII, 3, luglio-dicembre 1918, p. 1).

Appena terminato il conflitto, l’Ordine si impegnò per il rientro dei medici dal fronte, in primo luogo dei più anziani. In una lettera indirizzata al Ministro della Guerra, l’Ordine della Provincia di Torino chiese la smobilitazione dei medici ormai inattivi al fronte dal momento che “il servizio civile ha bisogni sempre più pressanti; quaranta comuni della Provincia in cui l’epidemia influenzale serpeggia tuttora e fa … vittime … sono prive di Sanitari”, tanto che il “Governo ha dovuto mandare medici militari in servizio civile, mentre sarebbe più logico che la Condotta fosse coperta dal titolare” (VII, 3, luglio-dicembre 1918, pp. 23-24). Qualche mese dopo l’Ordine scrisse una seconda lettera al Ministero, dalla quale si evince che la smobilitazione aveva avuto luogo per i medici più anziani ma si attendeva ancora per i nati dopo il 1880 (VIII, n. 1, gennaio-aprile 1919, p. 14).

Al momento della smobilitazione l’Ordine chiedeva che ai medici, al pari degli altri militari, fosse concessa l’indennità prevista per gli ex prigionieri e, poiché anche nei campi di concentramento i medici continuarono a prendersi cura dei soldati, che venisse “computato, all’effetto dell’avanzamento [di carriera], il tempo passato in prigionia come trascorso al fronte” (Idem).

Nei primi mesi del 1919, su richiesta del Ministero dell’Interno, il Ministero della Guerra decise di permettere a medici e veterinari di “acquistare a buone condizioni l’armamentario chirurgico che risultasse esuberante ai bisogni della sanità militare” nonché i quadrupedi non più in servizio (VIII, n. 1, gennaio-aprile 1919, pp. 13 e 15).


1 Cfr. A. Scartabellati, “Il dovere dei medici italiani nell’ora presente”.Biopolitica, seduzione bellica e battaglie culturali nelle scienze umane durante il primo conflitto mondiale, pp. 69-81.

2 Durante la guerra lo psichiatra non solo si trovò naturalmente a trattare le psicosi legate al conflitto, ma venne anche investito di un ruolo meno scontato e più sottile, quello di contribuire a educare, e spesso creare, la volontà patriottica nel soldato. Di fronte a un crescente fenomeno di isterie di guerra, interpretate come una pericolosa “femminizzazione” dell’esercito, lo psichiatra era chiamato a “convogliare e rinserrare moralità fisica e spirituale (psichica)” del soldato. Lo psichiatra era quindi visto in una doppia funzione di medico e di intellettuale in grado di forgiare e disciplinare il sodato; A. Scartabellati, Dalle trincee al manicomio. Esperienza bellica e destino di matti e psichiatri nella Grande guerra, Cercenasco (TO) 2008, pp. 124-138.

3 B. Bracco, Milano nella Grande guerra. La memoria dei caduti e il cimitero monumentale, Milano 2015, p. 16.