Emilia-Romagna

Nel 1476, quando la regina d’Ungheria, moglie di Matthias Corvinus, era attesa a Ferrara, sua sorella Eleonora D’Aragona duchessa di Ferrara, moglie di Ercole I, cercò 18 giovani merlettaie e le esortò con urgenza a realizzare dei merletti a fuselli in oro e seta cremisi. Le preziose trine erano destinate ad abbellire gli ornamenti e la biancheria della camera della regina. Questa è la prima testimonianza della tradizione del merletto in Emilia Romagna. Il merletto e il ricamo venivano realizzati in molte località della regione e appartenevano soprattutto alla tradizione degli abiti popolari e dei corredi delle fanciulle. Fino agli inizi del Novecento infatti, le donne usavano indossare dei costumi tradizionali con collarette molto ricche di merletto: questo aveva una  lavorazione  particolarmente complessa che ricordava quella  delle Fiandre. Da questa maestria nell'intrecciare fili di seta o cotone, nascono veri e propri capolavori. La reticella ha conosciuto una nuova stagione felice agli inizi del Novecento grazie alla società "Aemilia Ars". La sezione merletti e ricami dell’ "Aemilia Ars", divenne, per opera della contessa Lina Bianconcini Cavazza, una vera e propria industria femminile. Fin dal 1899 la contessa aveva iniziato a insegnare il punto antico, il reticello, ad alcune ragazze povere. Nei primi anni del Novecento l’attività di confezione di merletti, adatti a decorare capi di biancheria e corredi, coinvolgeva decine di donne, reclutate in città o nel contado, che lavoravano normalmente a domicilio. Alla confezione di un merletto partecipavano quasi sempre più merlettaie. Ciascuna realizzava la parte corrispondente alla propria specialità. I pezzi finiti erano montati in un secondo tempo. Durante la Grande Guerra le abili ricamatrici erano state temporaneamente riconvertite in cucitrici di divise militari. Le donne, rimaste sole per l’invio dei mariti al fronte, potevano così garantirsi un minimo di reddito. Il fondo di disegni e campionari di pizzi e ricami di "Aemilia Ars" è stato acquisito dal Comune di Bologna e depositato presso il museo Davia-Bargellini.
Il conte Luigi Alberto Gandini, nel 1882, ha donato al Museo Civico di Modena una collezione di frammenti tessili costituita da 2000 esemplari italiani ed europei che coprono un arco di tempo dall'XI al XIX secolo. Presso il Museo è stata inaugurata una sala denominata "dei Tessuti" o "sala Gandini". Qui sono esposti attualmente circa 900 frammenti tessili (dei quali circa 300 sono merletti di lino o filato metallico) e alcuni abiti della seconda metà del Settecento, recentemente acquisiti; i rimanenti materiali sono in corso di schedatura e restauro.