1791, 7 settembre. Nasce a Roma Giuseppe, Francesco, Antonio, Maria, Gioachino, Raimondo Belli, figlio di Gaudenzio e di Luigia Mazio. La casa di nascita stava nel cosiddetto Palazzetto Capranica su via dei Redentoristi angolo via di Monterone.
1798. Repubblica Romana. Gennaro Valentini, cugino di Gaudenzio, ge-nerale dell'esercito borbonico, viene spedito a Roma per organizzare una controrivoluzione e ospitato presso la casa di Belli, ma viene scoperto e fucilato a piazza Montecitorio.
1800. Dopo l'arrivo di Pio VII, Gaudenzio ottiene un incarico al porto di Civitavecchia.
1802, 23 marzo. Gaudenzio Belli muore.
1803-1807. La famiglia Belli torna a Roma, e vive in ristrettezze al nu-mero 391 di via del Corso. Giuseppe studia al Collegio Romano, dove rivela interessi compositi: lettere, pittura (impara a suonare il flauto), musica, scienze; primi tentativi di poesia.
1807, 5 ottobre. Muore Luigia Mazio. Giuseppe interrompe gli studi regolari.
1807-1808. Lavora come computista presso casa Rospigliosi. Continua a scrivere.
1809, luglio. Roma viene occupata dall'esercito francese e Pio VII è arrestato.
1810-1811. Belli lavora presso la computisteria degli Spogli ecclesiastici, poi diviene segretario del principe Stanislao Poniatowski. Entra nell'Accademia Ellenica.
1813. Insieme ad altri, tra cui Giacomo Ferretti, fonda l'Accademia Tiberina. Decide di aggiungere un secondo nome alla sua firma e sceglie il quinto nome, Gioachino. È licenziato da Poniatowski. Vive dando lezioni di italiano, geografia, aritmetica.
1814. Fine dell'occupazione francese. Pio VII rientra a Roma. Belli incontra Maria Conti, nata nel 1781, di agiata famiglia di avvocati, moglie del conte Giulio Pichi, che morirà nel gennaio del 1816.
1816, 23 agosto. È assunto all'Amministrazione Generale del Bollo e del Registro.
1816, 13 settembre. A Santa Maria in Via, sposa Maria, che chiamerà sempre Mariuccia; i due vanno ad abitare al II piano di Palazzo Poli: 13 sedici stanze, galleria d'onore, mobili di pregio, tendaggi, quadri; due cameriere, tre servitori.
1816. Pubblica tre opere teatrali nella Biblioteca teatrale di Giacomo Ferretti, nel cui salotto conoscerà artisti, cantanti, musicisti, librettisti tra cui Donizetti, Piave, Verdi.
1817-1818. È tesoriere della Tiberina. e ammesso in Arcadia come Linarco Dirceo. Frequenta i maggiori letterati e artisti dell'epoca, tra cui Thorwaldsen e Tenerani.
1818-1819. In una data imprecisa, scrive il primo sonetto romanesco per un pranzo.
1820. Viaggia in varie località del centro Italia, tra cui a Terni, dove negli anni si recherà spesso per seguire alcuni interessi della famiglia di Mariuccia.
1821. Alla fine dell'anno conosce a Roma la marchesina Vincenza Robedi di Morrovalle («Cencia»). L'amicizia si protrarrà fino alla metà degli anni Cinquanta.
1822-1823. Continuano i viaggi nell'Italia centrale (Ripatransone, Terni, Morrovalie), e a Napoli, da cui scrive: «Troppo fracasso pel povero Belli!».
1823. Comincia la stesura dello Zibaldone, enciclopedia delle sue let-ture: quasi 6.000 articoli: sunti, brani, disegni, tratti da libri, giornali, sugli argomenti più vari: storia, archeologia, scienze naturali, ade, letterature antiche e moderne, costume, scienze.
1824, 12 aprile. Nasce l'unico figlio di Belli, Ciro.
1824. Si reca a Firenze, dove «la stampa non è libera per legge ma lo è quasi per tolleranza»; scrive la canzone Bellosguardo, in cui invoca la «bella Italia mia».
1826. È posto in riposo dal lavoro con «lo stesso soldo». In questa si-tuazione rimarrà per i successivi 15 anni, dedicandosi alle attività preferite: studi, scrittura, viaggi.
1827, luglio. Si reca a Milano, ospite dell'amico Giacomo Moraglia, dove tornerà per altri due anni. L'incontro è entusiasmante: Milano è ordinata, pulita, laboriosa. Legge Rousseau e conosce la poesia di Carlo Porta, di cui compra i volumi delle poesie.
1828. Dimissioni dalla Tiberina. A carnevale recita la sua «cicalata» Il ciarlatano.
1828. Legge I promessi sposi: «Questo è il primo libro del mondo». Esprime un preoccupato pessimismo sul futuro. Studia e aperta-mente apprezza Locke.
1828, aprile. A Cencia si firma per la prima volta «996», trascrizione in numeri della sigla «ggb», cioè le iniziali minuscole dei due propri nomi e del cognome.
1829, primo aprile. Scrive il sonetto Pio Ottavo per l'elezione del nuovo papa.
1829. Cerca un collegio lontano da Roma per il figlio, da lui destinato a divenire «amico più dell'onore che della riputazione, coraggioso e non temerario, franco e non impertinente, obbediente e non vile, rispettoso senza adulare, emulatore senza invidia, giusto, leale, ve-geto, agile, amabile, dotto, erudito».
1830. Legge Scott, Foscolo, Monti, Cuoco, Montesquieu, Voltaire, l'«Antologia», la «Revue Enciclopédique». Non scrive quasi più niente in versi italiani. Con pochi amici fonda una «Società di lettura» per costituire un fondo di libri e riviste comuni e incontrarsi «la sera di ogni mercoldì». 1831, 2 febbraio. Il cardinale Mauro Cappellari viene eletto papa: Gre-gorio XVI.
1831, estate. A Morrovalle comincia a scrivere in dialetto, in maniera definitiva e impressionante: tra il settembre del 1831 e la fine del 1835 Belli scriverà quasi 1700 dei suoi 2279 sonetti romaneschi.
1831, 5 ottobre. «Vengo carico di nuovi versi da plebe. [...] Mi pare di vedere che questa serie di poesie vada a prendere un aspetto di qualchecosa, da poter forse davvero restare per un monumento di quello che è oggi la plebe di Roma».
1832. Accompagna il figlio Ciro al collegio Pio, detto «della Sapienza» di Perugia. 1833-1834. Si reca più volte a Perugia, passando ogni volta per Terni.
1835, 3 gennaio. A pranzo dalla principessa Zenaide Wolkonski, legge un sonetto: «perché llei me vò espone a sti du' rischi / o cche ggnisun cristiano me capischi / o mme capischi troppo e mme conoschi?». 1835, settembre. Conosce Amalia Bettini, famosa attrice drammatica, per la quale scrive il sonetto Er padre e la fijja: stampato sulla rivi-sta milanese «Il censore Universale dei Teatri», è l'unico pubblicato in vita con il consenso dello stesso Belli. 1836, 16 febbraio. Ad Amalia Bettini, che lascia Roma, regala un «libro» autografo con poesie e prose italiane e sonetti romaneschi. Ral-lenta la scrittura in romanesco.
1837, 2 luglio. Muore la moglie Mariuccia. 1837, estate. La situazione patrimoniale si rivela catastrofica. Per i successivi sei anni scriverà pochissimi sonetti romaneschi (e quasi tutti d'occasione). Al tempo stesso Roma viene travolta dall'epidemia di colera, che causa più di 10.000 morti.
1837, 19 agosto. Scrive il testamento; al punto 15 si legge: «Presso il sig. Domenico Biagini esiste una cassetta piena di miei manuscritti in versi. Si dovranno ardere». 1837, metà ottobre. Va ad abitare presso i parenti Mazio, in via Monte della Farina 18; è impegnato a sistemare il patrimonio circondato da «squallore» e «tedio».
1838, marzo. E riammesso all'Accademia Tiberina.
1838, aprile. Nicolaj Gogor incontra Belli. A Sainte-Beuve Gogol' dirà di aver conosciuto un grande poeta a Roma, un poeta originale, un poeta raro: Belli.
1838. «I sonetti sono 2000, ma da tenersi riposti e poi forse un giorno bruciati».
1839. Esce la sua prima raccolta di poesie (italiane): Versi di Giuseppe Gioachino Belli romano, per volontà degli amici, Spada, Biagini, Ricci, e di monsignor Tizzani.
1841, agosto. Belli viene assunto alla Direzione del Debito Pubblico.
1843, gennaio. Riprende a scrivere sonetti romaneschi con una ceda continuità.
1844. Si pubblica a Lucca, a cura degli amici, il volume di poesie Versi inediti di Giuseppe Gioachino Belli Romano. Accusa sempre spasimi «pel dolor di capo».
1845, 3 gennaio. Viene giubilato dal lavoro con 37 anni di servizio.
1845, 31 dicembre. Belli scrive La vita da cane, sonetto romanesco che, anonimo e manoscritto, farà il giro d'Europa, sì che ne parlerà Mazzini da Londra.
1846, 1 giugno. Muore Gregario XVI. 17 giugno: viene eletto Pio IX. Belli scrive una serie di sonetti romaneschi su Pio IX, nel cui magistero ripone evidenti speranze.
1847, 2 marzo. Interrompe definitivamente la scrittura dei sonetti roma-neschi (l'ultimo sonetto, del febbraio 1849, è del tutto casuale e occasionale).
1848. Di fronte ai vorticosi eventi politici, Belli è atterrito. Ciro diventa giu-dice penale e si fidanza con Cristina, figlia di Giacomo Ferretti.
1849. La Repubblica Romana (proclamata a febbraio) dichiara decaduto il potere temporale. Ciro e Cristina si sposano. Belli distrugge una parte degli scritti romaneschi, appunti e minute.
1849, 3 luglio. Roma viene occupata dai francesi, la Repubblica Ro-mana è finita.
1849, autunno. Con Ciro e Cristina, la nuora che amò con grande tene-rezza, va ad abitare in via dei Cesarini 77, angolo via delle Stimmate
1850. Belli viene eletto presidente dell'Accademia Tiberina. Nasce il primo figlio di Ciro, Giuseppe Gioachino, ma il bambino si rivela di cagionevole salute.
1851. Riprende a scrivere, e con grande intensità; la sua musa si ispira a sentimenti satirici e di forte contestazione contro la corruzione dei tempi presenti
1852, fine dicembre. Viene incaricato dalla Deputazione dei pubblici spettacoli di esprimere un «voto» dal punto di vista della «morale politica» su alcuni testi teatrali.
1853. Muore il nipote Giuseppe; Belli è «impietrito». Pubblica le Litanie della 8. Vergine. Scrive il volgarizzamento degli Inni ecclesiastici, pubblicati nel 1856.
1854, 15 febbraio. A Cencia: «In quanto a me, io non uscirò più da Roma»
1855. Riprende a scrivere poesie dedicate all'amicizia, ai ricordi, agli af-fetti
1857. Cristina partorisce un altro figlio, Giacomo. Belli scrive il sonetto Mia vita.
1858, 24 novembre. Scrive il suo ultimo sonetto, l clienti: «Infra i patrizi e noi v'ha un ceto medio, / infarcito d'orgogli e di speranze [...] Noi frattanto moviam libero il piede, / né com'essi vendiam per una micca / il nostro onor, la cortesia, la fede».
1859, 18 ottobre. Cristina muore. 1860-1863. Un silenzio severo e doloroso copre l'ultima fase della vita di Belli; nella casa rimanevano i nipotini, il sempre più taciturno Ciro, e lui, Giuseppe Gioachino, impegnato soprattutto a seguire gli studi e l'educazione dei nipoti.
1861. Respinge la proposta di Placido Gabrielli di tradurre un Vangelo in romanesco, perché lingua inadatta all'argomento; i sonetti li aveva scritti per «introdurre il nostro popolo a parlare di sé nella sua nuda, gretta e anche sconcia favella».
1863, 21 dicembre. Racconta il nipote Giacomo: «Saranno state le cinque, le sei», Belli «sì aggirava come al solito attorno al tavolo dove i nipotini facevano i compiti, con uno scialletto sulle spalle e lo scaldino tra le mani; improvvisamente ebbe uno sturbo, uno sveni-mento, cadde e in capo a qualche ora morì».