Rusconi, Della architettura ... 1590

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Della architettura di Gio. Antonio Rusconi, con centosessanta figure dissegnate dal medesimo, secondo i precetti di Vitruuio, e con chiarezza, e breuità dichiarate libri dieci. In Venetia : appresso i Gioliti, 1590


Questa interessante edizione tardocinquecentesca dell’opera di Vitruvio appare tanto bella quanto paradossale: infatti, mentre quel celebre trattato antico è pervenuto all’età moderna privo delle originarie illustrazioni, questo strano libro non contiene il testo di Vitruvio, ma presenta invece -a suo commento- uno straordinario corredo di centosessanta bellissime immagini xilografiche, accompagnate soltanto da brevi testi esplicativi.

Pubblicata dodici anni dopo la morte dell’autore per volontà degli stampatori Giolito, questa curiosa edizione vitruviana senza Vitruvio, rappresenta oggi un affascinante enigma nel contesto degli studi sull’editoria veneziana del XVI secolo.

Fu probabilmente la confidenza con il mondo dei libri a stimolare in Rusconi interessi di carattere scientifico: sappiamo infatti che negli anni trenta e quaranta fu discepolo del celebre matematico ed inventore Nicolò Tartaglia. Formatosi in tal modo una solida base culturale anche di tipo tecnico-scientifico, Giovan Antonio poté successivamente intraprendere un’intensa attività di architetto ed ingegnere, affermandosi presto come uno dei professionisti più validi e quotati della Venezia del Cinquecento.

Negli anni quaranta, agli esordi della sua carriera di architetto, Rusconi aveva studiato a fondo il trattato di Vitruvio: sappiamo anzi che ne aveva predisposto  una traduzione, probabilmente commentata, che intendeva pubblicare con il corredo di ben trecento illustrazioni xilografiche.  L’opera era praticamente pronta per i torchi nel 1552, ed il 29 marzo 1553 il Granduca di Toscana concedeva il privilegio di stampa all’editore Gabriele Giolito, finanziatore dell’impresa. 

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Ma l’atteso Vitruvio di Rusconi rimase allora inspiegabilmente inedito: l’opera, dopo forse un altro tentativo nel 1570, vide la luce solo nel 1590, come si è detto senza la traduzione vitruviana e con un apparato illustrativo quasi dimezzato, quanto basta però per far rimpiangere davvero la mancata edizione completa.

Il titolo dell'opera appare in un cartiglio inserito in un frontespizio architettonico: sopra la cimasa fra le nubi l'immagine di Giove con lo scettro e i fulmini, ai lati Pallade Atena dea della conoscenza e la Vittoria con la palma e l'alloro; un scritta in latino dice: Con Giove quale duce e Pallade compagna, Vittoria e quindi Pace.

Sotto la marca tipografica dei Giolito sovrastata dalla Fenice che rinasce dalle sue ceneri "Semper eadem", sempre la stessa, la targhetta a stampa incollata, con la nota di possesso dell'Abate Ascanio Varese che provvide probabilmente anche al rinnovo della legatura.

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