Bari durante la guerra. Qualche ricordo di Frate Menotti (MS 12, MS 13)

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Nel compilare questa nota introduttiva dichiariamo il debito di riconoscenza per la curatrice, Pina Belli D'Elia, e per gli autori (Franco Fanizza, Christine Farese Sperken, Antonio Guida, Luigi Sada, Anna Maria Suppa, Francesca Tritto) del volume Colpi da orbo: frate Menotti e la caricatura barese (Bari 1982), opera fondamentale dalla quale è impossibile prescindere per lo studio dell'artista e l'interpretazione delle vignette. Dall'opera sono state attinte alcune notizie.

Per Frate Menotti gli anni della guerra furono un periodo di isolamento dal contesto politico culturale di Bari. Il clima politico era dominato dalla campagna propagandistica sia di stampo nazionalista che di matrice democratica rappresentata essenzialmente dagli intellettuali pugliesi Gaetano Salvemini e Tommaso Fiore. Essi credevano in una specie di funzione palingentica della guerra, nutrivano la speranza e la fiducia che l'Italia avrebbe combattuto una guerra democratica per l'indipendenza nazionale e la cooperazione internazionale, una guerra per finire ogni guerra. Frate Menotti, invece, era in preda ad un cupo pessimismo sull'esito della guerra. Durante il conflitto produsse numerose vignette che non furono pubblicate. La classe dirigente barese non era più disposta a ridere di sé anche perché il pungente sarcasmo dell'artista aveva soppiantato la felice ironia dei suoi lavori negli anni della Belle Epoque. Ma l'artista non si dette per vinto e dedicò al lavoro ancora più impegno realizzando due degli album più significativi della sua carriera artistica (MS 12: 1915-1916, MS 13: 1917-1918). Il suo punto di vista sulla guerra lo portò non solo ad annullare ogni aspetto eroico del dominante militarismo ma a denunciare la corruzione degli apparati che lo sostenevano, la turpe attività di loschi profittatori di guerra, di ferventi nazionalisti, di famosi imboscati. Le vignette di questi anni sono pervase da un feroce antigiolittismo di base che, sebbene fosse uno dei pochi punti politici in comune con gli interventisti democratici, lo portavano comunque verso conclusioni opposte sulla valutazione della guerra. Diversamente da tanti intellettuali democratici, non si era mai illuso che la guerra avrebbe spazzato via la corrotta classe dirigente, e il suo pessismistico distacco dagli avvenimenti lo portano ad accusare i corrotti con invettive feroci contro l'ipocrisia degli imboscati che, paradossalmente, erano i primi a mettersi in mostra nelle parate patriottiche. Contro costoro si era schierato anche Tommaso Fiore nei suoi Scritti politici. Su costoro si scagliò il forte sarcasmo di Frate Menotti che dedicò alcune vignette a personaggi baresi molto in vista: il direttore del Museo archeologico di Bari Michele Gervasio, patriota ferventissimo costretto ad imboscarsi per il bene dell'archeologia, la signora Ave Fornari che affligge i lettori del Corriere con le sue lettere riboccanti di incitamenti patriottici, mentre lavora per l'imboscamento del marito, l'avvocato Modesto Palasciano, fervente patriota e figura di primo piano nell'ambiente cittadino, che nel 1916 fu ingiustamente esonerato dal servizio militare. Quindi, diversamente da quanto auspicato dall'interventismo democratico (la cui delusione è evidenziata da Tommaso Fiore nelle "Lettere dal fronte interno" Scritti politici, pp. 99-107), il sostegno alla guerra della classe dirigente barese non era dovuto a pura idealità, a vero slancio patriottico, ma al bieco calcolo economico dei prevedibili vantaggi, per Bari e la Puglia,  dell'espansione economica verso l'altra sponda adriatica. Il grande interesse per le ricadute economiche di questo progetto è ben rappresentato nella vignetta Per l'italianità dell'Adriatico. Ma, nell'attesa dei futuri guadagni, la borghesia barese non disdegnò di arricchirsi financo con la speculazione sui generi alimentari: oltre ai privati, anche grandi affaristi e commercianti locali acquisirono il controllo dell'Ente provinciale e dell'Ente autonomo comunale per i consumi dimostrando grandi capacità di patriottismo proficuo (Frate Menotti aveva previsto lo sviluppo degli avvenimenti nella vignetta del 1916 sul "pescecanismo" Se essi vanno al macello, noi facciamo affari d'oro). Diversamente dagli affari, Frate Menotti evidenziava lo scarso impegno dei notabili baresi per le campagne nazionali per i Prestiti di guerra e, nella vignetta sul IV Prestito nazionale, "don Pagolo" (l'onorevole Paolo Lembo) tiene un discorso al Teatro Piccinni completamente deserto dove non c'era un cane e si dovettero far entrare a scapaccioni tutti gli scugnizzi e i venditori di giornali che si potettero trovare sul corso (commento del prof. Saverio La Sorsa). Evidentemente la potente e "onorata società massonica" barese ha altri impegni come occupare posizioni di comando nell'Associazione Pro Trento e Trieste e nel Comitato di assistenza civile. Infatti i Comitati, sorti originariamente per iniziativa dell'interventismo democratico, furono poi "occupati" da esponentii del potere liberal-massonico come avvenne per quello di Bari, presieduto da Nicola Balenzano, Presidente del consiglio provinciale di Bari, e avente come segretario l'avvocato Modesto Palasciano che prese il posto dì Francesco Damiani, autore dell'opera Il porto di Bari per l'avvenire d'Italia (Bari, 1917). Un altro  contributo alla causa interventista fu quello offerto dal clero cittadino che, superato positivamente il processo intentato dal capitano Alfredo Caloro contro i domenicani di Bari, accusati di spionaggio filo austriaco (1915), in seguito sostenne apertamente la causa interventista. La nuova posizione della chiesa fu per Bianchi una fonte ghiotta di ispirazione. L'anno successivo infatti dedicherà una gustosa vignetta a mons. Vaccaro che, a capo di un coro patriottico, inaugura il Laboratorio dell'assistenza civile. Verso la fine del 1916, con l'entrata in vigore delle norme sulla limitazione dei consumi e l'aumento dei prezzi, Frate Menotti percepirà negli strati più umili del proletariato cittadino una diffusa ostilità verso la guerra che assorbiva sempre più risorse e aggravava di giorno in giorno il problema dell'approvvigionamento alimentare. Contro l'aumento dei prezzi disegnò una vignetta intitolata La commedia del calmiere. Alle carenze alimentari si aggiunse l'epidemia di influenza maligna che colpì la Puglia nel 1918 a cui Frate Menotti dedicherà una vignetta denominata L'arrivo della signora febbre spagnola. Il dramma della guerra, col suo carico di morti, di dolore, di sofferenza ormai non più sostenibile, creò nel Paese un sentimento di forte rifuto del conflitto manifestatosi con ammutinamenti al fronte, diserzioni di massa e moti operai di protesta come a Torino. La reazione del Governo fu la repressione delle opposizioni e, secondo Menotti Bianchi, anche una campagna di promesse demagogiche rivolte ai combattenti rappresentata dallo "slogan" di Raffaele Cotugno La terra ai contadini. Con la vignetta intitolata appunto La terra ai contadini, Frate Menotti si scaglia contro quelli che giudica fautori delle false promesse del Governo: il presidente della Camera di commercio De Tullio, il radicale on. Raffaele Cotugno e il socialista Giovanni Colella. La crisi di credibilità della classe dirigente italiana era diventata ormai molto profonda e, per risollevare le sorti del fronte alleato che aveva perso nel frattempo il sostegno della Russia, ritiratasi dal conflitto dopo la Rivoluzione d'ottobre, intervennero gli Stati Uniti. A Bari si diffuse quindi un'ondata di "americanismo" che portò il consiglio comunale, tra discorsi e banchetti, a proclamare il presidente Wilson cittadino onorario di Bari. Anche in questo caso Frate Menotti sottolineò l'inopportunità della festosa cerimonia mentre al fronte si continuava a morire. Nella vignetta dedicata ai festeggiamenti che Bari aveva riservato al deputato statunitense Fiorello La Guardia, denominata il Fascio (n. 2) di resistenza nazionale (il  Fascio n. 1, del prof. Bertolini, era miseramente fallito), Menotti Bianchi presagisce il programma politico della borghesia cittadina che si stava  già proiettando verso la deriva nazional-fascista.