Il periodo sforzesco

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Il Rinascimento

La tavola della duchessa

Sezione a cura di Maria Pia Bortolotti

 

[…] i nostri milanesi ne l’abbondanza e delicatezza dei cibi sono singolarissimi, e splendidissimi in tutti i lor conviti, e par loro di non saper vivere se non viveno e mangiano sempre in compagnia (Matteo Bandello, Novelle, I parte , Novella IX inizio)

Il banchetto era il palcoscenico dove il signore palesava la sua magnificenza, era lo stupefacente apparato all’interno del quale confluivano molte diverse competenze per ottenere gli effetti più coinvolgenti, affidava allo “spettacolo” della tavola e ai suoi simboli il compito di rappresentare la grandezza del principe.

L'arte del convito non era semplicemente legata al gusto, ma al bel servire e alla sua messa in scena.

Lo sfarzo scenografico della tavola imbandita lo si vede ora nei dipinti che rappresentano feste, celebrazioni e banchetti e lo si può anche immaginare leggendo i lunghi elenchi di oggetti che facevano parte delle doti delle donne di casa Sforza. Risplendevano alla luce dei candelieri d’argento vassoi, scodelle, boccali, fruttiere, confettiere, saliere, coppe, tazze, d’argento e di cristallo, molti con l’orlo d’oro, ornati da florilegi - rose, viole, mela cotogna e fiori di borragine, quest’ultime per rappresentare le imprese dei duchi - da fregi silvestri, da figure di animali e abbelliti da pietre preziose (perle, corallo, alabastro) e smalti, con le armi dei duchi incise: opere tutte di un artigianato che si stava specializzando nella produzione di oggetti di lusso che venivano richiesti dalle corti di tutta Europa; le stoviglie erano abilmente appoggiate su tovaglie di lino; le sedie e gli sgabelli erano ricoperti di velluto, i cuscini di tela di saia con ricamate le armi del signore (sargia o saglia nei documento, indica la lavorazione del materiale, lana o cotone): anche gli elementi d’arredo contribuivano ad arricchire la scenografia.

Pure la presentazione dei piatti di portata dei cibi era un vero e proprio spettacolo. Abbondavano sulle tavole dei ricchi selvaggina e pesce; per i ceti medi era regolare l’approvvigionamento di cereali pregiati, coltivati in Lombardia o di importazione; era assicurata a tutti la sussistenza minima, con elargizioni in miglio e segale, fave e vino. Il sale, pesantemente tassato, affluiva però regolarmente attraverso Genova o la via del Po; fra gli investimenti cospicui destinati all’impianto e allo sfruttamento di risorse alternative e nuove per il ducato, quali la produzione della seta (1468-1469), il riassetto della rete viaria e fluviale - rendendo navigabili la Martesana e il Naviglio tra Pavia e Binasco – venne introdotta la coltivazione del riso (1470 ca.) e del gelso (1468).