A Ferrara

Il legame tra Ferrara e la locale Comunità israelitica ha origini lontane, il suo completo inserimento nel tessuto economico cittadino ebbe origine nel 1275 da un atto ufficiale con il quale il Comune concesse agli ebrei la protezione in cambio dei servizi da loro offerti.

Durante la dominazione estense ci fu la massima espansione della comunità ebraica, grazie alla protezione del marchese Borso il quale ottenne il diritto legale dal Papa di accogliere gli ebrei che da tutta Europa affluivano nei suoi domini a causa delle sempre più costanti persecuzioni; in quel periodo gli ebrei abitanti a Ferrara passarono dall’essere poche a 2000 unità su 50.000 abitanti.

L’affluenza di ebrei provenienti da svariate località sia europee che nazionali creò a Ferrara un vero e proprio crogiuolo culturale, che alimentò la fama degli Estensi e del loro ducato, i quali saldarono la propria immagine con la loro presenza.

Nel 1598 con lo spostamento degli Estensi a Modena e a Reggio e la devoluzione di Ferrara allo stato pontificio, il Papa impose vessazioni economiche e commerciali a tutti gli ebrei rimasti e, per distinguerli dal resto della popolazione ferrarese, li obbligò a vivere nel ghetto, costruito tra il 1624 e il 1627, e ad indossare un segno distintivo. Durante la vita nel ghetto gli ebrei si rifugiarono nella passione per gli studi cercando la libertà nella conoscenza.

 

Con l'annessione di Ferrara al Regno di Sardegna nel 1860 e l'applicazione dello Statuto Albertino con cui gli ebrei venivano sollevati alla piena dignità di cittadini, essi vennero liberati definitivamente dal ghetto, diventando veri talenti sulla scena politica, sociale ed economica del primo ‘900.

Grazie a loro, a Ferrara, si era creato un primo nucleo di medio-alta borghesia la quale avrebbe contribuito a tentare di cambiare una società ancora legata alla terra e alle attività ad essa collegate.

Negli anni tra il 1860 e il 1931, la Comunità Israelitica ferrarese vide manifestarsi due tendenze opposte: da un lato vi fu un risveglio della vitalità economica, sociale, politica e culturale, ma, dall'altro, molti ebrei finalmente liberati decisero di emigrare verso città più grandi per poter sfruttare le opportunità offerte da tessuti sociali maggiormente sviluppati.

Entrati a pieno titolo nelle dinamiche politiche e sociali dell'Italia, molti di loro, appartenenti alla media e alta borghesia, aderirono con slancio e convinzione al fascismo, vedendovi una difesa contro il socialismo. Altri invece furono tra i primi avversari di Mussolini, di cui avevano colto la pericolosità.

 

Con la promulgazione delle leggi razziali del 1938 gli ebrei ritornarono a sentirsi estraniati dalla società e vennero sottoposti ad un controllo ossessivo da parte delle autorità fasciste.

Il giornale ferrarese “Corriere Padano” aveva iniziato dall' agosto a preparare l'opinione pubblica alle decisioni del Gran Consiglio del fascismo, tra le quali l'estromissione degli ebrei dalle cariche pubbliche. Viene richiesta a tutti i dipendenti comunali e statali la denuncia della propria appartenenza razziale: nel caso di appartenenza alla razza ebraica è previsto un provvedimento di dispensa dal servizio. Gli appartenenti della Comunità israelitica ferrarese dovettero allontanarsi dalle proprie attività, gli studenti dovettero abbandonare le scuole e le proprietà vennero sequestrate. Ogni aspetto della vita degli ebrei ferraresi fu registrato in elenchi prodotti in risposta alle richieste del Ministero degli Interni.

Particolarissima a Ferrara era stata la nomina a podestà (figura che rimane in carica per 5 anni, accentrando in sé le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale, nominata per regio decreto dietro proposta del Prefetto al Ministero dell’Interno) sin dal 1926, dell'ebreo Renzo Ravenna, iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 1924 e amico fidato di Italo Balbo, il gerarca ferrarese in quel momento sottosegretario all’economia nazionale. Nonostante in questo frangente si facesse per la prima volta menzione della sua confessione religiosa, come a una questione da risolvere, Renzo Ravenna venne in ogni caso nominato Podestà.

La sua amministrazione si caratterizzò per l’ampio programma di opere pubbliche e la promozione culturale della città, tra cui, nel 1933, la celebre esposizione sulla pittura ferrarese del Rinascimento che ispirò il saggio di Roberto Longhi L’officina ferrarese. Se la sua posizione divenne insostenibile nel '38, costringendolo a dare “spontanee” dimissioni già nel marzo, la vicenda del Podestà mostra come già da qualche anno, esattamente dal '34, fossero arrivate da parte del capo di gabinetto del Ministero dell’Interno, al Prefetto ferrarese Festa, pressioni per una sua rimozione e sostituzione con un podestà cattolico. Dietro l'argomento che l'azione contro di lui era motivata dal malcontento di un gruppo di cittadini, si tentava di fatto un attacco al corposo gruppo ebraico di Ferrara che ricopriva incarichi pubblici.

L'uccisione del federale fascista Igino Ghisellini nella notte tra il 13 e il 14 novembre '43 fu l'evento che determinò la violenta rappresaglia contro gli antifascisti e gli ebrei: alla immediata serie di arresti che, durata tutta la notte, si concluse la mattina seguente con le undici vittime dell'eccidio del Castello Estense, fecero seguito, nei mesi successivi, altre retate che portarono oltre un centinaio di ebrei ferraresi nei lager nazisti. A loro perenne memoria, sulla facciata della Sinagoga di Via Mazzini 95, è collocata una lapide.